Sebbene gli investimenti globali nell’energia pulita siano sempre maggiori negli anni, solo un quinto viene assegnato alle economie emergenti e in via di sviluppo (escludendo la Cina), esponendo così il mondo al rischio di non raggiungere gli obiettivi climatici e di sviluppo e non riuscendo a promuovere un’equa transizione energetica. A Davos gli esperti indicano la strada da seguire per eliminare le barriere che rallentano la transizione energetica globale.
Al WEF 2023 di Davos si parla di Paesi emergenti e futuro energetico globale
La corsa all’energia pulita non è una gara a cui partecipano singoli Paesi di tutto il mondo. Il traguardo della riduzione delle emissioni inquinanti e della neutralità climatica è un percorso da fare assieme, è una transizione che riguarda tutti.
In occasione dell’edizione 2023 del World Economic Forum (WEF) a Davos, in Svizzera, si è affrontato il tema rilevante del ruolo dei Paesi emergenti (Emerging markets and developing economies, o Emde) nel processo di decarbonizzazione delle economie mondiali.
Senza un loro coinvolgimento diretto gli obiettivi green mondiali sono a rischio. Ma non solo, a rischio è il nostro stesso futuro energetico e climatico. Per questo secondo il WEF gli investimenti in energia pulita e rinnovabile nei Paesi emergenti devono passare dagli attuali 150 miliardi a oltre 1 trilione di dollari entro il 2030.
Solo in questo modo l’intero pianeta sarà davvero sulla giusta strada per abbattere a zero le emissioni nette di gas serra entro il 2050.
25 Paesi, un unico destino
Per questi Paesi, accelerare la diffusione delle energie rinnovabili può essere un’opportunità significativa per rafforzare la loro sicurezza energetica, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e raggiungere gli obiettivi net-zero sottoscritti da ogni singola nazione.
Ricordiamo che secondo il Fondo monetario internazionale, al momento sono 25 i Paesi emergenti del mondo: Cina, Brasile, Cile, Colombia, Repubblica Ceca, Egitto, Grecia, India, Indonesia, Kuwait, Malesia, Messico, Perù, Filippine, Polonia, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Turchia, Ungheria, Emirati Arabi Uniti.
La Cina ne fa parte solo nominalmente, visto che è la prima potenza economica asiatica e la seconda a livello globale dopo gli Stati Uniti (Pechino ha già fatto notare questa incongruenza tra la realtà e lo schema generale che vuole il grande Paese asiatico ancora tra gli Edem), l’India sicuramente occupa la seconda posizione in questa lista, ma il Paese che più sembra attrarre l’attenzione degli investitori è l’indonesia.
Nell’ambito dell’iniziativa Mobilizing Investment for Clean Energy in Emerging Economies, il World Economic Forum ha lavorato per sbloccare finanziamenti per l’energia pulita per quattro delle maggiori economie emergenti e in via di sviluppo: India, Brasile, Indonesia e Nigeria.
Il caso dell’Indonesia
Uno “Stato arcipelago” dalle grandi potenzialità economico-finanziarie, che Goldman Sachs ha classificato tra i Next Eleven, gli undici Paesi emergenti identificati ad alto potenziale di sviluppo economico su scala mondiale.
Qui il Wef, assieme ad altre realtà imprenditoriali e associative locali, ha creato un gruppo di lavoro, a cui partecipano Accenture, Kmar Dagang, Kadin e RE100, per lo sblocco di nuovi investimenti in energia pulita, ad esempio per portare energia pulita nella regione di East Sumba generata da impianti fotovoltaici sufficiente ad alimentare circa 4 mila case ed evitare emissioni inquinanti per 5,5 KT annue; e per favorire l’elettrificazione dei consumi rurali sempre attraverso nuovi impianti a fonti rinnovabili.
All’Indonesia servirebbero 150-200 miliardi di dollari di investimenti annui per il raggiungimento degli obiettivi di zero emissioni entro la metà del secolo.
Nel Nord del Brasile, invece, servirebbero investimenti per portare l’energia elettrica pulita nelle aree più rurali, mentre in India sarebbero necessarie soluzioni innovative per lo stoccaggio di energia elettrica lì dove potenzialmente gli impianti solari ed eolici potrebbero produrre molta di questa energia pulita a basso costo.
Sebbene gli investimenti globali nell’energia pulita siano sempre maggiori negli anni, solo un quinto viene assegnato alle economie emergenti e in via di sviluppo (escludendo la Cina), esponendo così il mondo al rischio di non raggiungere gli obiettivi climatici e di sviluppo e non riuscendo a promuovere un’equa transizione energetica globale.