Nel suo ultimo rapporto speciale la IEA lancia un ultimatum alle grandi compagnie mondiali del petrolio e del gas. Per cambiare veramente le cose, le multinazionali del fossile devono investire il 50% delle loro spese in conto capitale in progetti di energia pulita entro il 2030. La cattura di CO2 non è più sufficiente a contenere l’aumento di temperatura e richiederebbe più elettricità di quanta ne sia prodotta oggi.
L’ultimatum IEA
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha pronunciato l’ennesimo ultimatum alle compagnie mondiali del petrolio e del gas. I produttori di combustibili fossili devono scegliere se contribuire all’aggravarsi della crisi climatica o diventare parte della soluzione abbracciando il passaggio alle fonti di energia rinnovabile. Per avere una minima speranza di contenere l’aumento della temperatura a 1,5° salvando gli accordi di Parigi, è necessario farlo. Ora o mai più.
Petrolio e gas raggiungeranno il picco entro il 2030
Nell’ultimo Rapporto speciale dell’IEA si legge, infatti, che anche con le politiche attuali, secondo le ultime proiezioni, la domanda globale sia di petrolio che di gas è destinata a raggiungere il picco entro il 2030. Un’azione più forte per contrastare il cambiamento climatico significherebbe quindi un chiaro calo della domanda di entrambi i combustibili. Se i governi mantenessero pienamente gli impegni nazionali in materia di energia e clima, la domanda scenderebbe del 45% e il consumo di petrolio e gas diminuirebbe di oltre il 75% entro il 2050.
Investire il 50% delle spese in energie rinnovabili
Per cambiare le cose, le grandi compagnie fossili dovrebbero dunque investire il 50% delle loro spese in conto capitale in progetti di energia pulita entro il 2030. Soldi che devono aggiungersi agli investimenti necessari per ridurre le emissioni Scope 1 (dirette) e 2 (indirette). Cifre da capogiro, visto e considerato che nel 2022 l’industria del petrolio e del gas ha investito in rinnovabili ed energia pulita appena 20 miliardi di dollari, ossia il 2,5% della spesa in conto capitale totale. Venti volte meno di quanto auspicato dall’Agenzia Internazionale. Secondo il Rapporto, la strategia di transizione di ogni azienda può e deve includere un piano per ridurre le emissioni derivanti dalle proprie attività. La produzione, il trasporto e la lavorazione di petrolio e gas determinano quasi il 15% delle emissioni globali di gas serra legate all’energia, pari a tutte le emissioni di gas serra legate all’energia provenienti dagli Stati Uniti. Allo stato attuale, le aziende che si prefiggono l’obiettivo di ridurre le proprie emissioni rappresentano meno della metà della produzione globale di petrolio e gas.
La cattura di anidride carbonica non basta
Il Rapporto rileva inoltre che la cattura di CO2, attualmente il fulcro delle strategie di transizione di molte aziende, non può essere utilizzata per mantenere lo status quo. Se il consumo di petrolio e gas naturale dovesse evolvere, limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C richiederebbe la cattura di 32 miliardi di tonnellate di carbonio per l’utilizzo o lo stoccaggio entro il 2050, una quantità del tutto inconcepibile, in quanto l’elettricità necessaria per alimentare queste tecnologie risulterebbe maggiore dell’attuale domanda di elettricità a livello mondiale.
Non c’è spazio per nuovi giacimenti
L’agenzia ha, inoltre, ribadito che uno scenario futuro in cui la temperatura non aumenta più di 1,5° non lascia spazio all’attivazione di nuovi giacimenti. Il rapporto arriva a pochi giorni dall’inizio della conferenza internazionale Cop28 a Dubai, dove i Paesi del mondo cercheranno nuovamente di accordarsi per scongiurare gli eventi climatici più catastrofici.