A Dubai il gruppo di lobbisti di petrolio, gas e carbone supera in numero quello di qualsiasi altra delegazione istituzionale, a parte il Brasile (3.081 partecipanti, Paese che dovrebbe ospitare la COP30 nel 2025) e il Paese ospitante (4.409). Ecco perché si rischia un nulla di fatto nel limitare il consumo dei combustibili fossili, che continuano a ricevere enormi sussidi e a rappresentare una minaccia per l’ambiente e un costo sociale troppo alto da sostenere per tutti noi.
Allarme lobbisti a Dubai, così si arricchiscono le corporation globali di petrolio, gas e carbone
Quinto giorno di COP28 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, con poche novità, messaggi ambigui e un primo vero record, quello dell’esercito di lobbisti dei combustibili fossili, che sono arrivati in 2.456 all’Expo City.
Una carica senza precedenti, questa delle lobby di carbone, petrolio e gas, con un esercito quattro volte più grande rispetto a quello messo in campo per la COP27 dell’anno passato a Sharm el-Sheikh (e anche in quell’occasione si è parlato di numeri record).
La notizia è stata diffusa in un articolo pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian, che cita fonti della coalizione ambientalista Kbpo (Kick Big Polluters Out, composta da 450 organizzazioni in tutto ilmondo che chiedono la fine dell’influenza dell’industria dei combustibili fossili nella politica climatica).
Quando si parla di lobbisti ci si riferisce sempre a singoli individui o gruppi di individui (spesso intermediari e/o in rappresentanza di aziende) che per lavoro cercano costantemente di influenzare a proprio vantaggio l’attività del legislatore, di un’assemblea istituzionale, della Pubblica Amministrazione o del Governo stesso.
13 milioni di dollari al minuto in sussidi mondiali ai combustibili fossili nel 2022
In questo caso si tratta di lobbisti arrivati a Dubai per influenzare i lavori della Conferenza sul clima a favore delle Big Oil come Shell, Total e ExxonMobil, solo per citare alcune tra le corporation di gas e petrolio più grandi al mondo.
Si tratta di un gruppo di interesse che da solo supera in dimensioni tutte le delegazioni dei Paesi e delle associazioni partecipanti alla COP28, tranne quella del Brasile (3.081 partecipanti, Paese che dovrebbe ospitare la COP30 nel 2025) e del Paese ospitante (4.409).
Un segno questo della grande forza delle lobby dell’industria dei fossili a livello mondiale, confermata anche dagli studi più recenti. Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), nel 2022 l’industria del petrolio, del gas e del carbone ha ricevuto in sussidi più di 7 trilioni di dollari, cioè il 7% circa del PIL globale.
Una cifra monstre, che di fatto rallenta (se non blocca) la transizione energetica ed ecologica intrapresa da tanti Paesi in tutto il pianeta. Parliamo di 13 milioni di dollari al minuto dirottati verso i combustibili fossili.
I costi ambientali e sociali dei sussidi ai combustibili fossili
Come spiegato bene dall’Asvist, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, in recente articolo di approfondimento su questo dato, queste ingenti risorse finanziarie riversate sulle aziende e le industrie del fossile hanno enormi costi ambientali e sociali.
I costi diretti di questi sussidi sono quelli concessi dai Governi per finanziare le tante attività delle aziende fossili o per incentivare l’acquisto da parte dei cittadini di beni e servizi ad alto contenuto carbonico, quelli che generano enormi impatti sul clima.
Quelli indiretti, invece, sono quelli che le aziende dei combustibili fossili continuano a non pagare e a scaricare sulle spalle dei cittadini in termini di perdita di salute, di degrado ambientale e di inasprimento delle disuguaglianze. Costi che si possono identificare nell’inquinamento atmosferico – secondo il Fmi lo smog provoca 1,6 milioni di morti premature ogni anno -, nella perdita di biodiversità e nell’aggravarsi degli effetti della crisi climatica, tanto per fare qualche esempio.
Motivo per cui, oggi alla COP28, come ieri alla COP27, non si riesce a porre un limite serio e concreto all’utilizzo dei combustibili fossili e al finanziamento di questa industria altamente climalterante e dal fortissimo impatto ambientale, nonostante la maggioranza della popolazione mondiale sia ormai d’accordo sul phase out di carbone e petrolio e la comunità scientifica non sappia più come sensibilizzare politici e cittadini sui gravi rischi a cui ci stiamo esponendo con l’estremizzazione del clima e il global warming.