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A rischio climatico 73mila imprese italiane, al primo posto le oil&gas. Lo Studio

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Il settore energetico e industriale in prima linea. Servono ulteriori investimenti per 226 miliardi di euro per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione. Tante le nuove sfide, ma anche le opportunità per la transizione ecologica. Le principali evidenze dello studio Cerved che analizza l’esposizione al rischio climatico di 750.000 imprese di capitali italiane.

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Cresce il rischio, ma aumentano anche le opportunità per le imprese

Secondo un recente studio di Cerved, ben 73.000 imprese italiane si trovano ad affrontare un rischio climatico significativo. I settori più esposti sono quelli dell’energia, dell’oil&gas, del cemento, dell’acciaio e dell’agricoltura.

Queste aziende, che già vantano un debito complessivo di 207 miliardi di euro, dovranno investire ulteriori 226 miliardi per allinearsi agli obiettivi di decarbonizzazione e raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050.

Nonostante la portata della sfida, lo studio rivela una nota positiva: oltre un quinto delle imprese analizzate (circa 15.000) potrebbe sostenere questi investimenti senza compromettere la propria stabilità finanziaria, indebitandosi per ulteriori 46 miliardi di euro.

Questo indica che per molte aziende, la transizione ecologica rappresenta anche un’opportunità di crescita e sviluppo.

Un futuro incerto

Tuttavia, il contesto economico attuale presenta alcune incognite. I tassi di decadimento, un indicatore del rischio d’impresa sotto l’aspetto della sostenibilità, sono in aumento negli ultimi anni. Fortunatamente, si prevede un generale assestamento nei prossimi due anni, grazie alla diminuzione dei tassi di interesse.

La crisi climatica rappresenta una sfida senza precedenti per il sistema produttivo italiano. Le imprese devono adottare misure urgenti per ridurre le proprie emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, questa transizione può aprire nuove prospettive di crescita e sviluppo.

Il rischio fisico

Come illustrato in un altro studio Cerved, i cambiamenti climatici possono determinare impatti diretti e indiretti sull’attività delle imprese – come, ad esempio, danni materiali agli asset operativi, cali di produttività, interruzione delle catene produttive – con conseguenze di carattere economico e finanziario.

Inoltre, secondo l’orientamento della Banda centrale europea, gli enti creditizi devono inquadrare sempre di più i rischi climatici e ambientali nell’ambito di un approccio strategico complessivo che guardi al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica nel lungo periodo.

In questa prospettiva, è interessante mettere in relazione l’indicatore di rischio fisico, nella sua componente legata al climate changecon il CGS (Cerved Group Score), lo score di Cerved che misura il rischio di credito delle aziende in chiave prospettiva.

Prendendo in considerazione le società di capitale (779 mila), le imprese che risultano a rischio in base al CGS sono circa 121 mila (15,5% del totale), con un volume di 74 miliardi di debiti finanziari.

Il capitolo debiti

Parallelamente, si osservano 75 mila imprese situate in zone altamente esposte ai rischi fisici associati al climate change, con circa 48 miliardi di debiti finanziari. Circa un terzo di questi debiti (13 miliardi) risulta associato a imprese vulnerabili che, date le difficoltà finanziarie, potrebbero non avere le risorse per mettere in atto azioni di prevenzione del rischio fisico.

Un quadro nazionale in continua evoluzione che deve tenere conto del grave dissesto idrogeologico del nostro territorio, in forte peggioramento dopo gli eventi meteo estremi degli ultimi anni.

Giornalista

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