Mentre l’Unione Europea si prepara a ridurre gli oneri burocratici per le imprese attraverso il Regolamento Omnibus, un gruppo di investitori lancia un appello affinché le autorità europee non cedano alle pressioni per un ridimensionamento delle normative ESG (Environmental, Social and Governance). Tali criteri, fondamentali per valutare le performance aziendali in termini di sostenibilità, rischiano di subire un arretramento normativo che potrebbe compromettere gli obiettivi del Green Deal.
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A rischio le normative ESG
Mentre l’Europa punta ad alleggerire gli oneri di rendicontazione delle imprese con il cosiddetto pacchetto Omnibus, gli investitori, in una dichiarazione congiunta, esortano le autorità europee a non cedere alle pressioni volte a ridimensionare le normative ESG dell’Unione, ossia i criteri utilizzati per valutare le performance di un’azienda in termini ambientali, sociali e di governance.
Cos’è il Regolamento Omnibus
Per semplificare gli oneri burocratici che gravano sulle imprese, a novembre scorso la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva proposto un Regolamento Omnibus. In particolare, la sburocratizzazione interessa la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD, 2022), il regolamento sulla Tassonomia UE e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D, 2024).
Sebbene l’intento del Regolamento atteso entro la fine di febbraio, sia quello di eliminare simultaneamente più imbuti burocratici, gli investitori richiamano l’attenzione sul rischio reale di vanificare l’efficacia di alcune normative, facendo un passo indietro in termini di standard di sostenibilità.
Revisione degli standard di sostenibilità?
In particolare, secondo il consorzio composto dall’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), dal Forum Europeo per gli Investimenti Sostenibili (Eurosif) e dai Principles for Responsible Investment (PRI), il nuovo pacchetto mina l’integrità delle regole che puntano a integrare i fattori ESG nelle pratiche aziendali.
Il folto gruppo di investitori che gestisce asset per un valore complessivo di circa 6 mila miliardi di euro, avvalora la sua tesi affermando che le norme previste in materia di rendicontazione sono essenziali per consentire ai gestori patrimoniali e agli investitori di allocare le risorse in modo efficace. Per tale motivo, l’unico margine di revisione dovrebbe riguardare esclusivamente gli standard tecnici e le linee guida per l’implementazione, evitando di riaprire l’intero impianto normativo in materia di ambiente, società e governance (ESG). Tale eventualità creerebbe incertezza regolamentare e potrebbe compromettere gli obiettivi fissati dal Green Deal europeo, ormai sancito per legge.
Le pressioni di Francia e Germania
L’appello arriva in un contesto di crescenti pressioni esercitate da parte di Francia e Germania, le due maggiori economie dell’UE, volte a ridimensionare le future regolamentazioni ESG. I due Paesi temono, infatti, che i nuovi obblighi possano ostacolare la competitività delle imprese europee rispetto ai concorrenti di Stati Uniti e Asia, anche in considerazione della guerra commerciale in atto.
Il mese scorso, la Francia ha invocato una “sospensione massiccia” della regolamentazione ESG, sollecitando la Commissione europea a garantire che le piccole e medie imprese non vengano eccessivamente gravate dagli obblighi di rendicontazione. La Germania, dal canto suo, ha chiesto di posticipare di due anni l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e di attenuare alcune disposizioni.