Il ritorno al carbone negli Stati Uniti segna una svolta drastica rispetto alle politiche di transizione energetica degli ultimi decenni. L’amministrazione Trump punta a riaprire centrali chiuse e ridurre le normative ambientali per rilanciare un settore in declino, ma gli impatti ambientali e sanitari potrebbero essere devastanti. Le emissioni di CO2 aumenterebbero, compromettendo gli sforzi contro il cambiamento climatico, mentre la qualità dell’aria potrebbe peggiorare. Inoltre, la scelta potrebbe rendere gli USA meno competitivi a livello globale, mentre la Cina investe massicciamente in energie rinnovabili. Un’inversione di rotta destinata a far discutere su scala internazionale. I dati impietosi del nuovo rapporto “State of the Global Climate 2024” dell’Organizzazione meteorologica mondiale.
Gli USA ripartono dal carbone. Quale l’impatto sulla transizione energetica e la sostenibilità ambientale?
Nel contesto di una crescente competizione economica con la Cina e di un rinnovato focus sulla sicurezza energetica nazionale, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato l’intenzione di rilanciare la produzione di energia da carbone in tutto il Paese.
La decisione, resa nota attraverso un post sul social media di proprietà Truth, sottolinea il tentativo dell’amministrazione di contrastare le politiche di decarbonizzazione perseguite negli ultimi anni, con un ritorno a fonti fossili tradizionali.
“Per anni in ostaggio di estremisti ambientalisti, lunatici, radicali e delinquenti, consentendo ad altri Paesi, in particolare alla Cina, di ottenere un enorme vantaggio economico su di noi aprendo centinaia di centrali elettriche a carbone, autorizzo la mia amministrazione a iniziare immediatamente a produrre energia con il bellissimo carbone pulito“, si legge nel post del Presidente.

Esiste davvero il carbone pulito?
Punto primo, è necessario capire se è possibile parlare di carbone pulito. Il carbone è il combustibile fossile più sporco ed inquinante che esiste. Tanti degli sforzi profusi per accelerare le tecnologie pulite e le fonti energetiche rinnovabili derivano proprio dal tentativo di ridurre i danni alla salute dei cittadini (in particolare dei lavoratori impiegati nel settore) e quelli inflitti all’ambiente (che poi si traducono di nuovo in gravi danni alla salute di ogni essere vivente, umani compresi).
Già nel suo primo mandato da Presidente degli Stati Uniti, Trump aveva lanciato questa idea del carbone pulito (clean coal), praticamente una bufala. Il carbone è sporco per natura e non si può ‘ripulire’. “Coal is coming back“, dichiarava nel 2017.
Esiste comunque tutta una serie di tecnologie e di processi industriali che consentirebbero di ridurre il terribile impatto ambientale del carbone, le CCT, acronimo inglese che sta per Clean Coal Technologies.
In sintesi, il carbone che arriva alla centrale per la produzione di energia contiene generalmente dei minerali ed impurità che devono essere eliminate per ottenere il carbone pulito. Tramite queste tecnologie, è possibile rimuovere la materia e le polveri non necessarie e rendere la combustione più efficiente e meno inquinante. Ma è chiaro che si tratta più di un palliativo, che di un rimedio efficace all’inquinamento che deriva dall’estrazione e dall’impiego di questo combustibile fossile.
Un’inversione di rotta rispetto alla transizione energetica
Il carbone, che nel 2000 rappresentava circa il 50% della produzione elettrica statunitense, oggi copre solo il 16% della generazione complessiva, secondo quanto riportato da un’articolo pubblicato sul Los Angeles Times. Il calo è stato determinato dalla crescente competitività del gas naturale, delle energie rinnovabili e dal rafforzamento delle normative ambientali.
Tuttavia, l’amministrazione Trump mira ora a riaprire centinaia di impianti a carbone e a ridurre le restrizioni imposte dall’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA), con l’obiettivo di rafforzare l’industria carbonifera e ridurre i costi dell’energia per i consumatori.
Esattamente quello che si aspettava l’industria americana del carbone dall’elezione di Trump alla Casa Bianca.
Implicazioni ambientali e sanitarie
Il carbone è considerato la fonte fossile più inquinante, con emissioni di anidride carbonica quasi doppie rispetto al gas naturale e un impatto significativo sulla qualità dell’aria. Il ripristino delle centrali a carbone potrebbe comportare:
- Aumento delle emissioni di gas serra, accelerando il cambiamento climatico e contrastando gli impegni internazionali per la riduzione delle emissioni di CO2.
- Peggioramento della qualità dell’aria, con una crescita delle malattie respiratorie legate all’esposizione a particolato fine e sostanze tossiche come il mercurio e gli ossidi di azoto.
- Maggiori impatti ecologici, legati all’estrazione del carbone e alla gestione dei rifiuti tossici derivanti dalla combustione, come le ceneri di carbone.
Effetti sulla competitività industriale e sull’occupazione
L’industria carbonifera ha subito un declino costante negli ultimi due decenni, con una riduzione della domanda interna e una transizione verso energie più sostenibili. Tuttavia, il tentativo di rilanciare il carbone potrebbe non generare i benefici sperati:
- Costi elevati: Le centrali a carbone sono sempre meno competitive rispetto al gas naturale e alle rinnovabili, che beneficiano di progressi tecnologici e incentivi fiscali.
- Posti di lavoro limitati: La modernizzazione dell’industria estrattiva ha ridotto significativamente la necessità di manodopera, rendendo improbabile una ripresa occupazionale su larga scala.
- Risposta negativa dei mercati: Investitori e grandi aziende stanno sempre più orientandosi verso strategie di decarbonizzazione, con il rischio di minori finanziamenti per il settore del carbone.
Un confronto con la Cina: modelli opposti?
Sebbene la Cina sia ancora fortemente dipendente dal carbone (circa il 60% della sua produzione elettrica), il Paese sta contestualmente investendo massicciamente in fonti rinnovabili come il solare e l’eolico. Questa strategia mira a ridurre la dipendenza dal carbone nel lungo termine, pur mantenendo alta la capacità produttiva energetica.
Gli Stati Uniti, invece, rischiano di intraprendere un percorso inverso, rallentando la transizione verso l’energia pulita e aumentando la loro esposizione agli effetti negativi del riscaldamento globale. L’annullamento delle politiche ambientali della precedente amministrazione potrebbe compromettere gli sforzi nazionali e internazionali nella lotta al cambiamento climatico.
Il nuovo Rapporto sullo stato del clima globale: raggiunti pericolosi livelli record di CO2
Su questo non ci sono dubbi, almeno a livello scientifico. Il nuovo rapporto “State of the Global Climate 2024” dell’Organizzazione meteorologica mondiale descrive infatti un pianeta Terra in rapido riscaldamento, con conseguenze diffuse come l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai ed eventi meteorologici estremi.
Per quanto riguarda il micidiale diossido di carbonio (CO2), il rapporto rileva che gli attuali livelli del principale gas serra a lunga durata hanno raggiunto il livello record del 151% rispetto ai livelli preindustriali del 1750.
Si tratta del livello di CO2 più alto degli ultimi 800.000 anni e probabilmente anche di molto prima.
USA isolati, decarbonizzazione compromessa?
Il ritorno del carbone negli Stati Uniti rappresenta una sfida per la sostenibilità ambientale e per la competitività energetica del Paese. Mentre il mondo si muove sempre più verso modelli basati su fonti rinnovabili, il rischio è che questa politica possa isolare gli Stati Uniti dai principali trend energetici globali.
Se da un lato il rilancio del carbone potrebbe offrire un sollievo temporaneo all’industria estrattiva e a determinate regioni economiche, dall’altro rischia di compromettere gli sforzi di decarbonizzazione e la posizione del Paese nella lotta contro il cambiamento climatico.