Al momento siamo sui 90 dollari al barile, ma se lo senario bellico dovesse allargarsi coinvolgendo altre realtà regionali allora si rischia l’impennata a 157 dollari a barile, con enormi conseguenze sul prezzo delle materie prime non solo energetiche, ma anche alimentari. L’allarme della Banca Mondiale: nel 2022 già un decimo della popolazione globale ha sofferto la fame, se il Medio Oriente si infiamma la situazione potrebbe precipitare.
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Il nuovo “Commodity Markets Outlook” della Banca Mondiale, attenzione al prezzo del petrolio
La guerra in Ucraina voluta dalla Russia ha rafforzato l’escalation dei prezzi delle materie prime che era in atto già a fine 2021, esasperandola nel 2022. Ora è il Medio Oriente che potrebbe infiammare di nuovo i mercati.
Secondo il nuovo “Commodity Markets Outlook” della Banca Mondiale, il riacuirsi del conflitto israelo-palestinese porta con sé un carico di preoccupazioni economico-finanziarie, che si unisce alla tragedia umana dei morti e dei feriti che si sta consumando a Gaza e che il 7 ottobre si è consumata sul territorio israeliano.
Questi due fronti di guerra potrebbero rappresentare un “doppio shock per i mercati delle materie prime”, si legge nel comunicato che accompagna il Report, “spingendoli in territori sconosciuti ed inesplorati”.
In linea generale, i ricercatori non si attendono lo scenario peggiore, anzi, il contrario. Attualmente, la valutazione preliminare propende per uno scenario non preoccupante: si ritiene che quanto sta accadendo a Gaza, in Israele e in Cisgiordania non dovrebbe avere effetti particolari sui mercati delle materie prime, ammesso e non concesso che il conflitto non si allarghi.
Il punto chiave è proprio questo: se la guerra non coinvolgerà altri Paesi mediorientali gli effetti sui mercati saranno limitati.
Al momento effetti limitati, ma se il Medio Oriente venisse coinvolto nel conflitto si rischierebbero i 157 dollari al barile
Il prezzo del petrolio, ad esempio, dovrebbe raggiungere una media di 90 dollari a barile nel trimestre in corso, per poi scendere a 81 dollari nel primo trimestre del 2024. Un aumento in linea con il trend delineato a settembre e meno preoccupante di quanto stimato precedentemente dall’Ageei.
Con l’inizio dell’anno nuovo un po’ tutti i prezzi delle materie prime a livello mondiale dovrebbero calare del 4% circa (del 5% i prezzi dei metalli).
Fino ad oggi a causa della guerra il prezzo del petrolio è cresciuto del 6%, con scarsi effetti sui prezzi di materie prime agricole e dei metalli.
Ma cosa accadrebbe se malauguratamente lo scenario di guerra si ampliasse a tutto il Medio Oriente e magari oltre? Il Report qui diventa molto più negativo ed esaminando uno scenario di “grande interruzione” – paragonabile all’embargo petrolifero arabo del 1973 – stima che l’offerta globale di petrolio si ridurrebbe da 6 a 8 milioni di barili al giorno, con un’impennata dei prezzi inizialmente dal 56% al 75%, quindi tra 140 e 157 dollari al barile.
Oggi l’economia mondiale è molto più forte e solida di quella dei primi anni Settanta del secolo scorso, ma certo due conflitti contemporaneamente potrebbero minare tale situazione, soprattutto colpendo i Paesi più vulnerabili in termini economico-finanziari.
Se sale il prezzo del petrolio sale anche quello degli alimenti…e il prezzo dell’oro è in aumento (segnale da non sottovalutare)
Come ha ricordato Ayhan Kose, vice capo economista della Banca Mondiale e direttore del Prospects Group: “Uno shock pesante del prezzo del petrolio spingerebbe al rialzo l’inflazione dei prezzi dei beni alimentari, che è già molto altro nei paesi in via di sviluppo, colpendo direttamente 700 milioni di persone almeno, un decimo della popolazione mondiale, che già soffrono di denutrizione. Un’escalation di quest’ultimo conflitto intensificherebbe l’insicurezza alimentare, non solo nella regione ma anche in tutto il mondo”.
Come detto, non siamo nel 1973. Alcuni paesi hanno creato riserve petrolifere strategiche, stabilito accordi per il coordinamento dell’offerta e sviluppato mercati dei futures per mitigare l’impatto sui prezzi della carenza più o meno temporanea di petrolio. Questi miglioramenti suggeriscono che un’escalation del conflitto potrebbe avere effetti più moderati rispetto al passato.
I politici tuttavia, si legge nelle conclusioni, dovranno restare vigili, afferma il rapporto. Alcune materie prime, in particolare l’oro, stanno lanciando dei segnali chiari. Il prezzo medio dell’oro è aumentato di circa l’8% dall’inizio del conflitto. Questo particolare articolo ha un rapporto stretto con le tensioni geopolitiche: aumenta il proprio prezzo proprio in periodi di conflitto e incertezza, spesso segnalando un’erosione della fiducia degli investitori.
Fermare la guerra ed evitare il peggio
Al di fuori dell’impatto della guerra sui prezzi, dell’Outlook della Banca Mondiale e ciò che questo significa per le nostre tasche, rimane il fatto che una terra martoriata da bombe e stermini comunque ha e avrà un impatto fortissimo sul futuro dei popoli che vi abitano, sulle relazioni con i Paesi vicini e sulle prospettive di crescita e sviluppo.
Bisogna comunque ridurre l’impatto dell’inflazione tra le fasce di popolazione più povere e vulnerabili, affrontando il problema della povertà alimentare, sanitaria, educativa ed energetica.
Bisognerebbe evitare restrizioni commerciali, come i divieti di esportazione di alimenti, materie prime energetiche e di altro tipo. Anche perché proprio misure di questo tipo intensificano la volatilità dei prezzi ed acuiscono l’incertezza, riducendo la fiducia.
Il cessate il fuoco, la via diplomatica e l’apertura di un tavolo di pace tra gli attori locali e le principali figure internazionale è l’unica via per porre fine alle sofferenze dei civili e per disinnescare la possibile escalation del conflitto su scala regionale e una nuova crisi energetica, che poi diventa alimentare, sanitaria e sociale.