L’Enea ha messo a punto un nuovo processo che consente di riconvertire oltre il 90% della plastica recuperata in mare e sulle spiagge in nuovo “petrolio” da utilizzare come combustibile o per produrre nuove plastiche, vernici, solventi.
Mediterraneo, sempre più un mare di plastica
Il Mar Mediterraneo rischia seriamente di trasformarsi con il passare degli anni in una zuppa di plastica. Qui sono state misurate concentrazioni di microplastiche quasi quattro volte superiori a quelle rilevate nel Pacific Trash Vortex, la gigantesca isola di rifiuti di plastica che galleggia nell’Oceano Pacifico settentrionale.
Secondo uno studio del WWF, la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti rilasciati in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia e Spagna, seguite da Italia, Egitto e Francia.
Complessivamente ogni anno finiscono nel Mediterraneo 229 mila tonnellate di plastiche: è come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il proprio contenuto.
È stato calcolato che tra il 21% e il 54% di tutte le microplastiche globali (equivalente al 5-10% della massa di microplastiche globale) si trova nel Mediterraneo.
Numeri che ci impongono di intervenire rapidamente nello studio di soluzioni concrete ed efficaci per fermare da un lato la produzione di rifiuti in plastica e dall’altro di accelerare la raccolta di quelli già presenti in acqua.
Il progetto italo-croato coordinato dall’Enea per recuperare i rifiuti di plastica “Netwap”
Per questo i ricercatori dell’Enea hanno messo a punto un nuovo processo che consente di riconvertire oltre il 90% della plastica recuperata in mare e sulle spiagge in nuovo “petrolio” da utilizzare come combustibile o per produrre nuove plastiche, vernici, solventi e innumerevoli composti organici. Questa attività è stata realizzata nell’ambito del progetto europeo interregionale Italia-Croazia “NETWAP” sulla riduzione e la gestione innovativa dei rifiuti e i risultati sono stati pubblicati su ACS Sustainable Chemistry & Engineering, la rivista scientifica online dell’American Chemical Society.
“Abbiamo sottoposto campioni di plastica raccolta in mare a un particolare trattamento termo-chimico chiamato pirolisi che consente di decomporre – a una temperatura al di sopra dei 400 °C e in assenza di ossigeno – il materiale plastico di partenza in olio e gas ricchi di idrocarburi potenzialmente sfruttabili per la produzione di nuovi combustibili e prodotti chimici”, ha spiegato in una nota Riccardo Tuffi, ricercatore del Laboratorio ENEA di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali, che ha realizzato la ricerca insieme ai colleghi Lorenzo Cafiero e Doina De Angelis.
Il campione di plastica preso in esame è stato convertito in idrocarburi di grande valore economico (circa l’87% in olio leggero e l’8% in gas) e i gas prodotti durante il trattamento termo-chimico si sono dimostrati più che sufficienti a sostenere il fabbisogno di energetico del processo (450 °C).
L’economia circolare direttamente nei porti
Secondo quanto riportato dall’Agenzia italiana, una recente indagine ha rivelato che nessuna delle oltre 100 piccole e medie imprese che trattano i rifiuti plastici marini in tutto il mondo ha utilizzato la pirolisi: “Nel prossimo futuro, invece, piccoli impianti di pirolisi installati nei porti potrebbero addirittura produrre carburante per le imbarcazioni a partire proprio dalla plastica recuperata in mare”, ha sottolineato Tuffi.
Vale la pena ricordare che la direttiva europea sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio si pone come obiettivi inderogabili un livello di riciclaggio della plastica al 50% entro il 2025 e al 55% entro il 2030. Traguardi