È già il primo produttore di petrolio greggio e gas in Sud America, ma entro la fine del decennio potrebbe scalare la classifica mondiale, entrando nella Top Five, secondo un insight di Rystad Energy. Nonostante le proteste degli ambientalisti, aumenteranno i pozzi estrattivi, soprattutto offshore.
La scalata del Brasile ai maggiori produttori di greggio al mondo
Il Brasile raggiungerà un livello di produzione superiore ai 7 milioni di barili di petrolio greggio equivalente al giorno (barrels of oil equivalent per day) entro il 2030, quasi il 56% in più rispetto allo scorso anno e quasi il triplo rispetto al livello del 2010.
Il grande paese sudamericano, secondo le stime di un insight di Rystad Energy, potrebbe in questo modo ambire ad entrare nel gruppo dei primi cinque produttori mondiali di greggio entro la fine del decennio.
Già oggi Brasilia si può intestare il podio più alto nella produzione interna continentale, non solo di petrolio, ma anche di gas, mentre a livello globale si posiziona al settimo posto.
Un salto in avanti non da poco, che necessariamente comporterà la pianificazione di ulteriori attività di perforazione, con grave impatto sia sull’ecosistema amazzonico, sia in mare. Proprio le attività offshore saranno le prime a registrare un incremento entro il 2030.
Le attività estrattive su terra comunque non sono ferme, perché Petrobas ha ceduto licenze a nuovi operatori che già entro la fine del 2024 avvieranno le loro operazioni onshore.
Centinaia di nuovi pozzi in mare aperto
Secondo Rystad Energy, comunque, per il 2030 c’è da attendersi un aumento delle operazioni in mare a discapito di quelle su terra ferma.
Questo è considerato un esito molto probabile dai ricercatori, in quanto già oggi il Brasile è considerato tra i maggiori produttori di idrocarburi al mondo in acque profonde (tra i 125 ed i 1.500 metri di profondità) e ultra profonde (oltre i 1.500 metri), superando anche Norvegia e Stati Uniti.
Si attendono in Brasile non meno di 600 nuovi pozzi tra il 2024 ed il 2030, per un pacchetto di investimenti superiore ai 5,4 miliardi di dollari.
Nell’insieme, tra spese per le perforazioni, le infrastrutture necessarie, il completamente dei pozzi e i servizi connessi, la cifra finale potrebbe aggirarsi sui 38 miliardi di dollari entro la fine del decennio, cioè l’89% circa dei costi generali.
A conferma dei numeri, si attende una domanda nazionale di 30 impianti offshore all’anno fino al 2030 (solo queste infrastrutture rappresentano il 43% della spesa generale).
Le gare
L’ultima gara ha visto un totale di 561 blocchi offshore offerti dal regolatore brasiliano ANP (Agenzia Nazionale del Petrolio), con l’assegnazione di 48 blocchi offshore (principalmente nel bacino del Pelotas) e 140 tratti onshore nel quarto ciclo del regime di offerta permanente del paese.
Le società aggiudicanti, tra cui la compagnia petrolifera nazionale Petrobras, la norvegese Equinor, i giganti energetici con sede nel Regno Unito Shell e BP, la supermajor statunitense Chevron, la CNOOC con sede in Cina e la Karoon Energy quotata in Australia, hanno complessivamente sborsato più di 81 miliardi di dollari.
Nell’ultimo rapporto Opec, si stima una crescita della domanda globale di petrolio a 2,2 milioni di barili al giorno, nel 2025 crescerà meno, a 1,8 milioni di barili giornalieri.
I principali Paesi produttori, secondo l’Opec, saranno gli Stati Uniti, il Canada, la Guyana, il Brasile, la Norvegia e il Kazakistan.
L’Opec+ e le proteste dell’ala green del Governo Lula
A partire dall’inizio di quest’anno, il Brasile è entrato ufficialmente a far parte dei Paesi dell’Opec+, come stabilito durante la COP28 di Dubai, anche se in qualità di Paese osservatore.
Una notizia shock, soprattutto per l’ala ambientalista del Governo Lula, a cui inevitabilmente segue l’aumento della produzione di greggio come visto prevalentemente offshore.
La ministra dell’Ambiente dell’esecutivo brasiliano, Marina Silva, ha criticato aspramente questa scelta nei mesi scorsi. Il Presidente Lula da Silva ha ribadito che la decisione va inquadrata nella strategia nazionale di decarbonizzazione. Una narrazione che conosciamo bene anche qui in Europa per il gas naturale, considerato il vettore principe per il completamente della transizione energetica ed ecologica.