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Orano e Somaïr, l’industria francese dell’uranio in Niger è in crisi

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Il mercato francese dell’uranio nigerino è in crisi finanziaria. L’annuncio di Orano – multinazionale francese specializzata in energia nucleare – arriva dopo che si è vista obbligata a vendere una parte delle riserve di uranio del sito di Somaïr, nel nord del Niger, destinate a finanziare la chiusura dello stabilimento nella regione di Arlit. Il Niger rimane strategico da un punto di vista energetico e la Francia lo sa bene: ne è testimone la sua presenza “coloniale” da cinquant’anni.

La crisi del mercato di Somaïr (e di Orano)

Il Niger è il settimo fornitore mondiale di uranio e nel 2022, secondo l’Agenzia per l’energia nucleare (NEA), ha fornito più di un quarto dell’uranio utilizzato nell’Unione europea, diventando il secondo più grande fornitore, dopo il Kazakistan. Tra il 2021 e il 2022, la Francia ha triplicato le importazioni di risorse nucleari, diventando il principale importatore nell’Ue: negli ultimi dieci anni, il governo francese ha importato 88.200 tonnellate di uranio naturale, proveniente per il 27% dal Kazakistan, per il 20% dal Niger e per il 19% dall’Uzbekistan. Agli occhi della Francia, il Niger costituisce quindi un punto di riferimento energetico fondamentale nel continente africano, allo scopo di alimentare i 18 impianti di produzione, per un totale di 56 reattori a energia nucleare, presenti sul suolo francese.

Ad oggi, però, l’esclusiva energetica francese dell’uranio nigerino è a rischio. La compagnia francese Orano(ex Areva, la cui maggioranza apparteneva al governo francese) detiene circa il 64% della Somaïr (Société des mines de l’Aïr), compagnia nazionale mineraria operante nel nord del Niger. Sia a causa dei disordini politici del 2023 in Niger, che della crisi finanziaria di Somaïr, Orano sta correndo ai ripari usando una parte delle riserve dell’ultima miniera di uranio rimasta nel Paese, chiamata appunto Somaïr.

Le origini e le conseguenze della crisi

La crisi è dovuta alle difficoltà riscontrate dalla Somaïr da circa un anno nell’esportare l’uranio, ossia da quando il Niger ha affrontato un violento colpo di stato nel luglio dell’anno scorso che ha provocato una situazione di confusione generale all’interno del Paese. Nel febbraio del 2024 Orano aveva già ripreso le sue attività estrattive e, da quel momento, la miniera ha prodotto poco più di 700 tonnellate di uranio concentrato, tuttavia rimaste inutilizzate sul sito.

L’industria estrattiva del Niger era già stata messa alla prova l’anno scorso. A fronte di circa 2000 tonnellate di uranio concentrato estratte in media ogni anno, la produzione era, infatti, arrivata a 1130, circa il 16% della produzione complessiva mondiale di uranio da parte di Orano.

Il contesto politico

Tutto ciò avviene in un contesto politico e commerciale in cui alle economie che maggiormente importano uranio, quali Stati Uniti, Cina, Francia, Spagna, Unione europea e altre economie avanzate, è stata tolta la possibilità di appropriarsi delle riserve nigerine.

A più di tre anni dalla chiusura della Cominak, società mineraria di uranio del Niger nata da una joint venture tra la Areva NC e lo Stato del Niger. Orano ne possedeva il 34%, la spagnola Enusa il 10%, la nigerina Sopamin il 31% e la giapponese Overseas Uranium Resources Development (OURD) il  25%. La sua chiusura ha fatto sì che alcuni Paesi perdessero la possibilità di continuare a sfruttare il potenziale di un giacimento che soddisfaceva la domanda di uranio da 50 anni.

A poco più di un anno dalla decisione di Orano e del governo nigerino di estendere il ciclo di vita della miniera di Somaïr fino al 2040. Tale mossa rappresenta sicuramente una buona notizia per i maggiori mercati energetici, tuttavia, rimane l’incognita verso quali altri giacimenti si orienteranno i Paesi interessati allo scadere dell’accordo, e se ci sarà ancora posto per il Niger in quanto paese esportatore di uranio nel panorama dell’energia nucleare.

Infine, a un mese dalla decisione della giunta militare del Niger di nazionalizzare la miniera di uranio di Imouraren – a circa 80 chilometri a sud di Arlit e una delle più importanti – revocando a Orano la concessione per l’estrazione del giacimento, che quindi rende la Somaïr l’ultima vera miniera di uranio del Niger, sebbene l’impresa a Imouraren non fosse a destinata a durare. Infatti, sia Orano che il governo locale avevano posticipato l’inizio delle attività estrattive – la cui produzione era stimata a circa 200.000 tonnellate di uranio -, ulteriormente rimandato in seguito al crollo del prezzo mondiale di uranio avvenuto in conseguenza del disastro di Fukushima nel 2011.

Il futuro incerto di Somaïr

La società, che deteneva il monopolio delle attività estrattive dal 1970 fino al 2010, ha dichiarato di aver proposto varie soluzioni al governo di Niamey, ma le autorità locali non vi hanno dato seguito, continuando a diversificare la rete dei propri partner energetici. Se lo stato economico della Somaïr non dovesse migliorare, Orano potrebbe dover ridurre progressivamente le proprie attività, quindi giungere a un arresto completo nei prossimi mesi.

Seppur il Niger rappresenti un territorio chiave per l’industria nucleare francese, che da più di 50 anni ne ha sfruttato il suolo per estrarre materiale grezzo fino al 15% del fabbisogno, e anche per altri paesi interessati ai suoi giacimenti di uranio, al momento le effettive ripercussioni di tale crisi sul piano finanziario della società nigerina sono incerte e in fase di valutazione. Si attende venerdì 26 luglio, giorno in cui la società di estrazione dovrà presentare i suoi risultati semestrali.

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