Crisi globali, protezionismo e cambiamento climatico frenano la crescita. Cina, India, Corea del Sud, Indonesia e Arabia Saudita hanno piani ambiziosi ma forse irraggiungibili per i prossimi decenni.
A seguito di una serie di crisi consecutive, tra cui la pandemia da Covid-19, l’invasione russa in Ucraina e l’aumento dei prezzi dell’energia, “l’economia globale ha perso slancio” scrive il World economic forum: il tasso di crescita annuo del Prodotto interno lordo delle economie avanzate è passato da una media del 2% all’inizio degli anni Duemila a meno dell’1,5% dopo la pandemia; quello delle economie emergenti e in via di sviluppo si è ridotto dal 5,8% all’1,7%. Questo rallentamento nella crescita economica è confermato anche per i prossimi anni: secondo le stime del Fondo monetario internazionale nel 2025 e nel 2026 l’economia globale crescerà del 3,3%, un tasso inferiore rispetto alla media del 3,7% nel periodo 2000-2019.
La nuova amministrazione Trump, con l’imposizione di misure protezionistiche e dazi, potrebbe avere ripercussioni significative sull’economia globale. Il Pil globale, inoltre, potrebbe ridursi del 50% tra il 2070 e il 2090 a causa del cambiamento climatico, a meno che non siano adottate politiche immediate per la decarbonizzazione. Per affrontare queste sfide esterne e affermarsi come potenze economiche alcuni Paesi hanno ridefinito le proprie strategie di crescita: c’è chi punta sullo sviluppo tecnologico, chi su un ampio bacino di manodopera, chi prova a diversificare l’economia. Di seguito sono presentati gli obiettivi di alcuni Paesi asiatici emergenti che manifestano grandi ambizioni.
Il sogno cinese si infrangerà?
La crescita economica e il continuo miglioramento delle condizioni di vita delle persone sono alla base del “patto sociale” tra la popolazione e il Partito comunista cinese sono necessari per poter diventare “una potenza pienamente sviluppata e prosperosa” entro il 2049, centenario della fondazione della Repubblica popolare. Il “sogno cinese”, però, rischia di svanire. Dopo l’eccezionale crescita che ha caratterizzato la Cina tra il 20esimo e il 21esimo secolo, l’economia del Paese ha iniziato a rallentare: il tasso di crescita annuo del Pil cinese è calato negli anni, passando dall’oltre il 10% all’inizio degli anni Duemila al 5,2% nel 2023. Secondo il China’s national bureau of statistics, nel 2024 l’economia cinese è cresciuta del 5%, un tasso perfettamente in linea con l’obiettivo stabilito a marzo durante il Congresso del Partito comunista, circostanza che ha sollevato dubbi sull’attendibilità e la veridicità delle stime fornite.
Il rallentamento della crescita economica, le rigide restrizioni per contenere la pandemia e la disoccupazione giovanile (in Cina quasi un giovane tra i 16 e i 24 anni, esclusi gli studenti, non ha un lavoro) hanno portato ha un diffuso senso di scoraggiamento e frustrazione. Si parla molto, soprattutto fra i giovani, di 内卷 (neijuan), ovvero di “involuzione”, un concetto che indica una società che non riesce più a evolversi.
Per questi problemi interni, le esperte e gli esperti hanno rivisto frequentemente la data in cui la Cina sarebbe diventata la prima potenza economica globale, superando gli Stati Uniti: a inizio secolo si ipotizzava che il soprasso sarebbe avvenuto tra il 2025 e il 2026, ma le previsioni ora sono state spostate al 2035-2037. Il Pil cinese è ancora lontano da quello statunitense: nel 2023 ha superato i 17mila miliardi di dollari, in confronto agli oltre 27mila miliardi del Pil statunitense.
Anche l’India rallenta
Grazie a una rapida crescita economica, a un largo bacino di manodopera (dal 2023 è il Paese più popoloso al mondo) e a un settore tecnologico emergente, l’India è diventata la quinta potenza economica nel 2023, sorpassando il Regno Unito, ed entro il 2027 potrebbe essere la terza, superando il Giappone e la Germania.
La crescita economica è uno dei punti centrali di “Viksit Bharat 2047”, il piano del premier Narendra Modi che punta a rendere l’India una nazione sviluppata entro il 2047, il centesimo anniversario dall’indipendenza dal Regno Unito, con un’economia del valore di 10mila miliardi di dollari (oggi è pari a 4mila miliardi). Per raggiungere questo obiettivo il tasso annuo di crescita dell’economia dovrebbe essere dell’8%, ma nel 2024 è stato pari al 5,4%.
Entro il 2047, inoltre, il reddito pro-capite dovrebbe raggiungere i 12mila dollari, la soglia per rientrare nei Paesi ad alto reddito definita dalla Banca Mondiale. Secondo le stime della Banca mondiale potrebbero servire 75 anni a New Delhi per raggiungere un livello di reddito pro capite pari a un quarto di quello statunitense.
Uno degli ostacoli maggiori al raggiungimento del Viksit Bharat 2047 è la creazione di una buona occupazione: il tasso di disoccupazione è sotto il 3,2%, ma milioni di persone sono impiegate in attività di lavoro informale e con bassi salari. Il settore manufatturiero, che potrebbe assorbire una buona parte della forza lavoro, si sta contraendo (ora contribuisce al 13% del Pil, la percentuale più bassa dal 1967) e nuove forme di protezionismo e di dazi potrebbero aggravare la situazione.
La Corea del Sud punta sui semiconduttori
A gennaio del 2024 la Corea del Sud ha annunciato un piano di investimenti statali con le due più grandi aziende sudcoreane di chip, Samsung Electronics e SK hynix. Sono previsti investimenti per un totale di 470 miliardi dollari per costruire nella provincia del Gyeonggi il più grande hub di design e produzione di semiconduttori al mondo entro il 2047. La Corea del Sud punta a controllare entro il 2030 il 10% del mercato globale dei non-memory chip, come i processori mobili, rispetto all’attuale 3%. A dicembre del 2023 la Corea del Sud aveva presentato la “Strategia 3050” con l’obiettivo di ridurre al 50% entro il 2030 la dipendenza dalle importazioni di altri Paesi per 185 elementi per la catena di fornitura, tra cui materiali critici e componenti per settori considerati strategici. In questo modo la Corea del Sud vuole rendersi maggiormente autosufficiente e meno dipendente da alcuni Paesi, prima fra tutti la Cina.
Una delle sfide maggiori per rilanciare l’economia è il calo demografico: il tasso di fecondità della Corea del Sud è il più basso al mondo (0,72 figli per donna), ben lontano dal tasso di sostituzione pari a 2,1 figli per donna. La popolazione della Corea del Sud si potrebbe quasi dimezzare entro la fine del secolo, passando dai 51 milioni attuali a 26,8 milioni, con importanti ricadute per il modo del lavoro, per i consumi interni e per le spese di assistenza e cura di una società meno popolosa e più anziana. Nei prossimi dieci anni il tasso di crescita annuo dell’economia coreana potrebbe
Risorse minerali e industria al centro della strategia indonesiana
Diventare un Paese ad alto reddito entro il 2045 è l’obiettivo dell’Indonesia: per raggiungerlo l’economia dovrebbe crescere del 7% all’anno, rispetto a una media del 4,6% degli ultimi anni, sottolinea l’Economist. Un tasso di crescita pari al 7% è stato promesso dall’attuale presidente Prabowo Subianto durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2024. La strategia è continuare le politiche del suo predecessore, Joko Widodo, che aveva deciso di sfruttare le risorse naturali del Paese e investire ampiamente nelle infrastrutture. Tra le misure adottate c’è il divieto di esportare alcune materie prime non lavorate (tra cui il nichel, di cui possiede le principali riserve al mondo) così da incentivare l’industria manifatturiera nazionale: l’Indonesia punta, infatti, a diventare uno dei produttori leader di batterie per veicoli elettrici entro il 2027. L’Unione europea ha fatto causa all’Indonesia presso l’Organizzazione mondiale del commercio, ma nonostante la vittoria i divieti per le esportazioni non sono stati ritirati.
Per rafforzare la produzione industriale l’Indonesia sta anche adottando una politica commerciale più aggressiva, facendo leva sulle opportunità offerte dal mercato interno (l’Indonesia è il quarto Paese più popoloso al mondo): a gennaio 2025 l’Indonesia, ad esempio, ha vietato alla Apple di distribuire nel Paese l’ultimo modello di iPhone finché l’azienda non investirà maggiormente nella produzione locale. La strategia sembra funzionare: secondo quanto riportato da Nikkei Asia, Apple starebbe valutando la possibilità di aprire un impianto di assemblaggio nel Paese, cosa che le aziende cinesi Xiaomi e Opodo e la coreana Samsung hanno già fatto.
Arabia Saudita: l’impresa di diversificare un’economia petrolio-dipendente
Nel 2016 il principe ereditario Mohammed bin Salman ha presentato i primi dettagli di Saudi Vision 2030, un piano con cui l’Arabia Saudita punta a diventare la 15esima economia globale (attualmente è la 19esima) e a diversificare la sua economia, molto redditizia, ma basata quasi esclusivamente sul petrolio: oggi, infatti, le fonti fossili contribuiscono al 40% del Pil del Paese. Come nota l’Economist, per raggiungere l’obiettivo l’economia non basata sul petrolio dovrebbe crescere del 9% ogni anno, rispetto alla media attua del 2,8%.
I finanziamenti per la Saudi Vision 2030 provengono principalmente dal Fondo per gli investimenti pubblici dell’Arabia Saudita (Pif), un fondo sovrano i cui maggiori introiti sono legati alla vendita di petrolio, e sono diretti a progetti diversi, dalla costruzione di una città futuristica e sostenibile nel deserto, chiamata Neom, al controllo delle principali squadre della Saudi Pro League e della squadra inglese Newcastle. Lo sport è al centro delle strategie per diversificare l’economia del Paese (e per cambiare l’immagine del regime autoritario che lo governa): nel 2027 ospiterà la coppa d’Asia di calcio, nel 2029 i giochi invernali asiatici e nel 2034 i mondiali di calcio maschile, oltre a diverse finali della supercoppa italiana. Alcune organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty international e Human rights watch, hanno denunciato lo sfruttamento dei lavoratori impiegati nell’edilizia, nel turismo, nei servizi di cura e nella logistica.
L’Arabia Saudita sta investendo molto anche nelle energie rinnovabili: l’impianto fotovoltaico Sudair produce 1,5Gw all’anno, portando a quota 2,7 GW la quantità di energia prodotta dal fotovoltaico. L’Arabia Saudita punta a generare il 50% della propria elettricità attraverso fonti rinnovabili entro il 2030, ma per ora la quota delle rinnovabili nel mix elettrico è circa l’1%.
Tutti questi grandi piani che si proiettano nel futuro incontrano ora due ulteriori difficoltà. La prima è il blocco della globalizzazione preannunciato dall’amministrazione Trump, che con l’introduzione di dazi alle importazioni negli Stati Uniti e un possibile effetto a catena in altri Paesi potrebbe rendere più difficili le esportazioni necessarie ai Paesi emergenti per mantenere una crescita sostenuta.
La seconda difficoltà consiste nel fatto che questi piani sono costruiti su una previsione di disponibilità di materie prime sostanzialmente immutata. Molti economisti avvertono invece che la produzione di ricchezza, conteggiata nella valutazione del Prodotto interno lordo secondo i canoni economici tradizionali, dovrà tener conto dell’evoluzione in futuro della domanda da parte di una popolazione non solo in crescita demografica complessiva almeno per i prossimi cinquant’anni. ma anche legittimamente protesa ad aumentare i propri consumi per uscire dalla povertà. La competizione per le materie prime che il pianeta può offrire diventerà dunque sempre più accesa, ponendo limiti allo sviluppo che solo grandi innovazioni tecnologiche potrebbero aiutare a superare.