È italiana la prima ricerca completa sullo stato della produzione di idrogeno nei 27 Paesi europei, ad opera dei professori universitari Cosimo Magazzino, Angelo Leogrande e Marco Mele. È stato utilizzato un sistema di Machine Learning per generare la classifica delle Nazioni sulla base della loro produzione di H2.
La prima ricerca
Lo studio, pubblicato sulla rivista Regional Science and Environmental Economics come riportato da AGEEI, si sofferma sulle implicazioni di politica economica che causano disparità nella produzione di H2, con considerazioni anche strategiche di lungo periodo.
Cosa emerge
Ma cosa emerge nello specifico dalla ricerca? Soprattutto per quel che concerne l’Italia? La prima valutazione è che sarà necessario che l’ampia infrastruttura del gas naturale riesca realmente, e non solo parzialmente, ad accogliere il combustibile.
Si mette in evidenza poi come le capacità del Belpaese su questo aspetto siano moltissime, così come in Spagna, con ancora vincoli infrastrutturali e tecnologici da superare. Ciò che beneficia le due Nazioni, sono di certo le condizioni climatiche e le solide basi industriali.
Nella pubblicazione scientifica a firma tutta italiana, dal titolo ‘Regional Disparities and Strategic Implications of Hydrogen Production in 27 European Countries’, si mettono in rilievo non solo disparità ma anche possibilità di sviluppo non sfruttate, come circa il 40% di idrogeno inutilizzato in tutta Europa.
La classifica
Per quanto riguarda la classifica, se si parla di numero di impianti in esercizio per l’H2, il primo Paese in lista è la Germania, con ben 109 strutture attive sul proprio territorio e per una capacità produttiva di oltre 2,1 milioni di tonnellate all’anno, la più alta in Europa.
Segue poi la Polonia, con 148 stabilimenti e una capacità di 1.104.771 tonnellate all’anno, che potrebbe però essere superata dai Paesi Bassi, con 33 impianti attivi ma che potrebbero generare fino a 1.424.258 tonnellate, se alcune difficoltà venissero superate.
Al terzo posto invece la Francia, con 50 siti dotati di una capacità totale cumulata di 822.712 tonnellate l’anno. Il quarto posto vede invece il Regno Unito, e subito dopo l’Italia al quinto, con 41 impianti realizzati e una capacità installata di 829.240 tonnellate l’anno.
E negli altri Paesi?
E negli altri Paesi? Nazioni come la Svezia o il Belgio, contribuiscono in misura media allo sviluppo del settore, con investimenti che potremmo definire piuttosto sostanziali.
Altri Stati del Nord Europa come Finlandia, Norvegia, Austria e Danimarca, noti soprattutto per le loro politiche sulle rinnovabili, hanno invece meno interesse nel realizzare siti incentrati sull’H2, con Estonia, Islanda, Irlanda, Lituania e Slovenia che hanno invece appena iniziando a sviluppare una propria capacità di produzione in materia.
Quella parte inutilizzata
Per quanto riguarda quella parte inutilizzata, è dovuta a quelle infrastrutture esistenti che non operano al massimo del loro potenziale. Molti Paesi infatti sottoutilizzano le proprie capacità soprattutto a causa di problemi operativi. Come superarli?
Con maggiori investimenti, progressi tecnologici, politiche di sostegno e collaborazione internazionale suggeriscono i tre professori autori del paper.