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Centrali a gas ‘hydrogen ready’, un flop Made in Usa. Il report

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Quando e con quale percentuale avverrà la transizione da gas a idrogeno nella generazione elettrica? Un rapporto dell’Istituto per l’Economia Energetica e l’Analisi Finanziaria definisce “un’operazione di marketing” i progetti relativi alle centrali definite “a capacità di idrogeno”.

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Il report IEEFA

È a firma di Dennis Wamsted, analista energetico IEEFA, il report “Hydrogen-ready gas-fired turbines need questioning” che suggerisce a enti regolatori e investitori di “esaminare attentamente” le affermazioni secondo cui l’idrogeno gassoso sarà ampiamente utilizzato nelle turbine a metano.

Nel report si legge infatti che le aziende elettriche e gli sviluppatori di progetti hanno descritto in modo inadeguato le centrali elettriche a metano definite ‘pronte per l’idrogeno’ o ‘a capacità di idrogeno’.

Le turbine a gas non sono realmente pronte per l’H2 e le centrali elettriche definite ‘a capacità di idrogeno’ continueranno a lavorare utilizzando quasi esclusivamente metano almeno per i prossimi dieci anni.

Rivedere i progetti

L’IEEFA ha quindi chiesto di rivedere e rivalutare i progetti presentati, tenendo presente costi e tempi di realizzazione delle centrali ‘a capacità di idrogeno’ e descrivendo pro e contro di una miscela fatta da idrogeno e metano.

Solo in questo modo è possibile valutare in maniera corretta i lavori proposti che, diversamente, vengono invece analizzati “su un combustibile sperato, potenzialmente meno dannoso per l’ambiente, ma almeno dieci anni lontano dall’ampia disponibilità commerciale”.

Proprio per spiegare quanto i tempi siano diradati, il report cita due progetti del North Carolina, a firma Duke Energy. Si legge che l’azienda non prevede utilizzare H2 “prima del 2035” e in tale data utilizzerà solo l’1% di idrogeno a fronte del 99% di metano.

Problemi strutturali

Il report definisce quindi l’uso dell’idrogeno nelle turbine alimentate a metano, “poco più che marketing” e ne delinea tre problematiche di rilievo: la quantità di idrogeno a disposizione, la mancanza di infrastrutture e la capacità di stoccaggio.

La mancanza di idrogeno è l’ostacolo principale alla sostituzione del metano con l’idrogeno nelle turbine a gas. Negli Stati Uniti, vengono prodotte circa dieci milioni di tonnellate di idrogeno all’anno, ma la maggior parte viene utilizzata dai settori petrolchimico e dei fertilizzanti.

Il report dichiara che per alimentare solo le 15 centrali ‘Hydrogen-ready’ più grandi degli Stati Uniti, il Paese dovrebbe raddoppiare la produzione di idrogeno attuale. Il risultato sarebbe di rimpiazzare meno del 10% dell’elettricità oggi generata dalla combustione di gas.

La seconda criticità è costituita dalle infrastrutture. Portare l’idrogeno nelle centrali richiederebbe la costruzione di migliaia di km di nuove condutture. L’alternativa potrebbe essere adattare la rete attuale al trasporto della miscela metano-H2, ma in questo caso la percentuale di idrogeno dovrebbe essere al massimo del 20%.

Il terzo nodo è rappresentato dalla mancanza di capacità di stoccaggio: la fornitura di metano è affidabile perché nel sottosuolo è presente una vasta rete di depositi.
Tale rete non esiste per l’idrogeno e la sua costruzione sarebbe costosa e non attuabile in tempi brevi. Non è inoltre detto che sarebbe sicura tanto quanto quella usata per il metano.

Problemi ambientali

Le centrali ‘pronte per l’idrogeno’ creano anche problemi ambientali. La combustione dell’idrogeno produce infatti alti livelli di ossidi di azoto. Ciò potrebbe avere un impatto considerevole sull’inquinamento atmosferico locale. Per evitarlo sarebbe necessario controllare le emissioni e ciò avrebbe un costo elevato.

Infine, conclude Wamsted, i benefici di usare l’H2 diventano significativi solo quando la quota di idrogeno miscelato a metano è molto alta. Una miscela al 50% taglia le emissioni solo del 24%. Per dimezzare le emissioni bisogna arrivare a una quota di idrogeno del 77%. Per arrivare all’80% di emissioni in meno serve il 93% di idrogeno.

Per l’IEEFA l’idrogeno non rappresenta quindi la giusta soluzione alla decarbonizzazione della rete elettrica degli Stati Uniti, così come nel resto del mondo, Europa e Italia incluse.

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