Le dichiarazioni pericolose di Donald Trump accendono nuovi interessi geostrategici sulla Groenlandia, che potrebbe improvvisamente ritrovarsi come nuova stella sulla bandiera degli Stati Uniti, come anche il Canada e forse il Canale di Panama. Sotto terra si nascondono tesori, infatti, che poi vanno trasportati da un Oceano all’altro e per questo gli stretti di tutto il mondo sono sempre più militarizzati. Ma l’obiettivo finale potrebbe essere il controllo della maggior fetta possibile di Artico.
Trump vuole la Groenlandia e il Canale di Panama (oltre al Canada)
Il Presidente degli Stati Uniti eletto, Donald Trump, dalla sua tenuta di famiglia di Mar-a-Lago in Florida ha rilasciato delle dichiarazioni che ormai hanno già fatto il giro del mondo almeno due volte, tanto appaiono esagerate e allo stesso tempo pericolose.
La Groenlandia (e non è la prima volta che lo dice e chissà che ne pensa la Danimarca, a cui l’isola appartiene) e il Canale di Panama devono essere acquisiti dagli Stati Uniti, con le buone o con le cattive. Come riportato dalla BBC, alla domanda se escluderebbe l’uso della forza militare o economica per impossessarsi dei due territori, ha risposto: “No, non posso assicurarvi nulla su questo, per nessuno dei due casi”.
“Ma posso dire questo – rivolgendosi ancora ai giornalisti –ne abbiamo bisogno per la sicurezza economica“.
In realtà in questo caso si va ben oltre la sicurezza economica, entrando nella sfera di quella nazionale e militare. È di fatto una questione geostrategica, tanto che tra gli annunci straordinari di questi giorni c’è anche la volontà di annettere il Canada, come nuova stella sulla bandiera degli Stati Uniti.
Tra le altre cose, ha suggerito di rinominare il Golfo del Messico “Golfo d’America”, in aperto scontro con Città del Messico.
Gli occhi di Washington sul gigante di ghiaccio, ma “che c’è sotto?”
Secondo le stime dello US Geological Survey, nel sottosuolo della Groenlandia potrebbero esserci almeno 17,5 miliardi di barili di petrolio e 148 trilioni di piedi cubi di gas naturale. Queste risorse sono ancora potenziali, poiché fino ad ora non ne è stato estratto nemmeno un barile.
Tuttavia, il governo della Groenlandia ha deciso di sospendere tutte le attività di esplorazione per la ricerca di idrocarburi e fino ad oggi era considerato fortemente improbabile un loro futuro sfruttamento.
Oltre al petrolio e al gas naturale, il sottosuolo della Groenlandia contiene anche altre risorse minerarie, come oro, uranio, zinco, rubini e diamanti, ma anche le tanto ambite terre rare. Lo scioglimento dei ghiacci, causato dal riscaldamento globale, sta rendendo queste risorse più accessibili, ma allo stesso tempo solleva preoccupazioni ambientali e geopolitiche.
Riguardo alle terre rare, la Groenlandia ne potrebbe custodire nel sottosuolo riserve per 1,5 milioni di tonnellate. Secondo un rapporto del Centro comune di ricerca della Commissione europea, le riserve qui costituiscono quasi il 20 percento di tutte quelle disponibili e quasi il 10 percento delle risorse globali complessive.
È stato suggerito che i suoi potenziali depositi potrebbero essere in grado di soddisfare il 25% dell’attuale domanda globale di terre rare. Situato nella Groenlandia meridionale, il progetto minerario di Kvanefjeld , uno dei più grandi depositi di terre rare al mondo, con un potenziale tale da ambire a diventare un fornitore di terre rare di importanza globale per molti decenni. Dati diffusi dal China Observers, il che secondo molti potrebbe giustificare l’aggressività americana di questi tempi di forte competizione tra le due sponde del Pacifico.
Terre rare e Artico nel mirino USA?
I rare earth elements permettono la produzione e il funzionamento di oggetti che fanno parte della quotidianità umana: si possono trovare all’interno degli smartphone, nei touchscreen, nelle lampade, negli hard disk dei computer. Ma sono anche alla base di fibre ottiche e laser, di molte apparecchiature mediche, nelle batterie per le auto elettriche. Costituiscono magneti permanenti, sensori elettrici, convertitori catalitici indispensabili per la produzione di tecnologie green come turbine eoliche e pannelli fotovoltaici.
A guardar bene il planisfero, però, appare anche lampante un altro chiaro motivo di questo interesse pressante di Washington sulla Groenlandia e anche sul Canada: il controllo dell’Artico, possibile (speriamo mai) nuovo scenario di forte contesa militare, economica e commerciale con la Russia (e forse la Cina).
Lo snodo strategico del Canale di Panama
Il Canale è per ovvie ragioni un punto chiave, come tutti gli stretti di primaria importanza sparsi per il mondo, come ben spiegato da Daniele Santoro su Limes di novembre (10/2024).
Il 70% dei transiti riguarda direttamente gli Stati Uniti, ma in termini energetici bisogna focalizzare il traffico navi per il trasporto di gas naturale liquefatto (Gnl) e gas di petrolio liquefatto (Gpl).
Dopo i problemi degli ultimi anni, che ha portato alla perdita massiccia del 65% del traffico, ora si punta a riaffermare il Canale come via privilegiata per soddisfare l’aumento della domanda in Asia e oggi in Europa (dopo lo stop delle forniture russe).
I problemi di sicurezza che attanagliano il Canale di Suez (come conseguenza dell’instabilità militare che incombe sullo stretto di Bab al-Mandab che congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi con l’Oceano Indiano).
Voluto e realizzato da Washington è passato nel 1999 nelle mani di Panama, ma ora gli Stati Uniti lo rivogliono indietro per le stesse ragioni che ne hanno dettato la costruzione (terminata nel 1914): il suo insostituibile ruolo strategico.
Il Canale permette alle navi di evitare la lunga e pericolosa circumnavigazione del Sud America attraverso lo Stretto di Magellano o Capo Horn. Questo si traduce in un notevole risparmio di tempo e denaro per il trasporto di merci tra le coste atlantiche e pacifiche degli Stati Uniti, e in generale per il commercio tra Asia, Americhe ed Europa. Questo vantaggio è cruciale per l’economia statunitense, che beneficia di una maggiore efficienza nei trasporti e di costi di spedizione ridotti.
La questione cinese
In termini militari, il Canale facilita il rapido dispiegamento di navi da guerra tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico. Questa capacità è essenziale per la proiezione di potenza degli Stati Uniti a livello globale e per la gestione di eventuali crisi internazionali. In caso di necessità, la flotta statunitense può spostarsi rapidamente da un oceano all’altro, rafforzando la sua capacità di risposta e di intervento.
Il problema, secondo alcuni analisti, è nato nel momento in cui il Governo panamense ha concesso all’azienda cinese Hutchison-Whampoa i permessi per gestire i porti del Canale di Panama. Questa mossa ha permesso alla Cina di esercitare un notevole controllo sia sul lato orientale che su quello occidentale del Canale, una posizione strategica di grande importanza per il commercio mondiale.
Il presidente panamense José Raúl Mulino ha però respinto le affermazioni di Trump, spiegando che “non c’è assolutamente alcuna interferenza cinese nel canale”.