La Sardegna sarebbe al centro di un paradosso, in quanto grazie alle rinnovabili produrrebbe almeno il 46% in più rispetto al suo fabbisogno, salvo poi una grande parte delle eccedenze venir dispersa a causa delle limitatezze insite nei sistemi di trasporto.
Il paradosso della Sardegna
La Sardegna si troverebbe di fronte ad un problema complesso, in relazione agli ostacoli nel trasporto della sovrapproduzione di energia da fonti rinnovabili. Grazie ad un capillare sistema di pale eoliche, citando l’ANSA, l’isola arriverebbe infatti a produrre il 46% in più del proprio fabbisogno. Di questa, però, soltanto una minima parte verrebbe poi esportata.
Una gran parte, invece, non troverebbe alcuno impiego. Nel vuoto, praticamente, finirebbero complessive quote di rete che raggiungerebbero i 600 Megawattora (MWh). “Le perdite annuali sono pari all’energia che sarebbe necessaria per illuminare circa 1500 stadi“, ha rimarcato Veronica Pitea, massimo vertice dell’Associazione consumatori e produttori energie rinnovabili (ACEPER).
Il tema dell’export delle rinnovabili è assolutamente dirimente. In effetti, nel primo semestre del 2024, queste ultime hanno generato il 50% dell’energia elettrica nell’Unione Europea. L’eolico ha superato il gas, divenendo la seconda fonte comunitaria di elettricità.
La mancanza delle infrastrutture
In questo scenario, il monito della Pitea lancia mette in luce la situazione non proprio idilliaca che sta vivendo il ‘Sistema Paese Italia’, oltre ai mancati ritorni per la Sardegna.
Per l’ACEPER le perdite sarebbero dovute a cinque problemi principali. Tutte dinamiche strutturali di ampio respiro, dalle notevoli ricadute geopolitiche e geo-economiche. In primo luogo, sono state indicate la mancanza di infrastrutture adeguate e i collegamenti sottomarini insufficienti.
Poi, nell’ordine, l’accento si è posto sulla carenza di investimenti, sui ‘corposi’ processi amministrativi di regolamentazione, oltreché sull’intermittenza della stessa produzione di energia eolica.
Complessità regionali
Dall’altro lato, la questione sarda s’inserirebbe all’interno delle polemiche – acuendole – relative al Decreto numero 153 del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE), anche detto ‘Aree Idonee‘. Approvato dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni dopo un lungo iter, è entrato in vigore lo scorso Luglio.
Il fulcro del provvedimento sarà arrivare ad 80 Gigawatt (GW) di capacità rinnovabile, tra Regioni e Province autonome, entro il 2030. L’oggetto della discordia, tuttavia, è arrivato con la scelta della formula attraverso cui implementare la normativa.
Si è infatti scelto di riconoscere alle stesse Regioni una competenza di settore nevralgica. Le stesse, con legge regionale – entro 180 giorni dall’entrata in vigore dell’atto – dovranno individuare quelle aree dove costruire o vietare nuovi impianti ‘verdi’. Un lavoro estremamente complesso.
Il pericolo – come hanno sottolineato diverse associazioni ambientaliste – è che in questi termini si promuoverebbero confusione e scollamento, disarticolando i benefici di una programmazione più capillare.
Si rischierebbe di perdere ‘tempo’, oltreché quote di mercato, complice la maggiore burocrazia e l’oscillazione del valori economici dei siti (terreni) studiati. Non certo il modo migliore per legittimare l’istallazione di quei 10-12 Gigawatt all’anno (GW/a) che sarebbero grandemente necessari.