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La transizione dal 2022 ad oggi: crescono le FER ma si può fare di più

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Pubblicato dall’Eurostat un rapporto sull’energia green generata nel 2022, che corrispondeva al 41,2% del consumo lordo di elettricità nell’Ue. Che situazione emergeva allora rispetto a quella attuale?

I dati Eurostat

Sono stati di recente pubblicati dei dati Eurostat in riferimento all’anno 2022. Dal report, emerge quanto le rinnovabili abbiano rappresentato in quel periodo il 41,2% del consumo lordo di elettricità nell’Ue, con 3,4 punti percentuali in più rispetto al 2021 (37,8%), e ben al di sopra di altre fonti come il nucleare (meno del 22%), il gas (meno del 20%) o il carbone (meno del 17%).

In totale dunque, si può parlare di un aumento delle FER del 5,7% dal 2021 al 2022, con l’eolico e l’idroelettrico in cima alla lista, e con percentuali rispettivamente del 37,5% e 29,9%. La restante parte dell’energia generata proviene allora da altri sistemi tra i quali il solare, per il 18,2%, e i biocarburanti solidi, per il 6,9%.

Il fotovoltaico

Tra tutti i vettori tenuti in considerazione e in continua crescita, emerge nel 2022 soprattutto il fotovoltaico, e lo stesso accade anche oggi. Secondo l’ultima analisi fornita dall’International Energy Agency (IEA) infatti, che valuta tutti i progressi fatti fino ad ora nell’ambito delle FER, l’energia solare risulta essere la fonte più promettente, affiancata però dall’eolico.

Le stime riportate dall’Agenzia dicono nel 2030 il mondo avrà a disposizione una potenza fotovoltaica sufficiente a soddisfare il livello di domanda annuale previsto nello scenario Net Zero Emissions by 2050.

L’energia del vento invece dovrebbe crescere di quasi il 70% su base annua, nonostante le catene di approvvigionamento a essa legate, a differenza di quelle connesse al solare, non stiano crescendo abbastanza velocemente per soddisfare l’innalzamento della domanda.

Le potenzialità del Nord Europa

Allora come oggi dunque, sembrerebbe che la promozione delle FER stia dando i propri frutti. Il problema è che si tratta di un percorso che va ancora troppo a rilento per soddisfare dei traguardi così ambiziosi in così pochi anni come quelli fissati dall’Unione.

Stando al rapporto Eurostat, la quota totale di rinnovabili nel consumo lordo di energia a livello europeo ha raggiunto il 23% nel 2022, e si evidenziavano già delle differenze tra i Paesi tutt’ora ben visibili. L’Ufficio Statistico dell’Ue sottolinea infatti quanto siano elevate le potenzialità del Nord Europa, con la Svezia che, sempre nel 2022, risulta essere lo Stato che ha utilizzato più energia verde.

La Nazione scandinava si è affidata soprattutto all’idroelettrico, all’eolico, ai biocarburanti solidi e alle pompe di calore per soddisfare la domanda elettrica, con la Finlandia che in questa classifica si posiziona al secondo posto, con il 47,9% di energia proveniente dalle fonti alternative.

Dove si posizione l’Italia

In questo quadro però, il Belpaese non sembra trovarsi in una brutta situazione. Secondo l’ultimo report 2023 dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale sottoposto alla vigilanza del Mase, in Europa l’Italia è seconda solo alla Svezia in termini di quota di consumo interno lordo di energia pulita.

Gli studi sui passi compiuti nell’ambito della transizione energetica sono comunque davvero tanti, e tutti più o meno sottolineano una crescita delle rinnovabili nel corso di questi ultimi anni, ma con tante difficoltà ancora da superare e quel qualcosa in più che si potrebbe fare.

Le risorse investite sono sempre troppo poche

Anche i dati contenuti nel nuovo aggiornamento del Report ‘Energy Transition Investment Trends 2024’ di BloombergNEF, segnano un nuovo record globale di risorse raccolte in soli 12 mesi a supporto della decarbonizzazione, presentando una Top 10 dei Paesi che hanno investito di più nelle catene di approvvigionamento globale di energia green, tra i quali rientra anche la penisola italiana.

Nonostante ciò, le risorse investite sono sempre troppo poche, ed è per questo che nel rapporto si parla di investimenti che dovrebbero raggiungere una media di 4,8 trilioni di dollari all’anno, tra il 2024 ed il 2030, per parlare davvero parlare di emissioni zero.

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