Sulla base di una revisione di 18.400 università situate in ben 196 Paesi diversi, emerge la poca formazione sui giovani per lavorare nel comparto delle rinnovabili. Tutto questo per via dei pochi programmi incentrati sulle Fer, e anche per la scarsità di norme e finanziamenti.
Lo studio
Lo studio dal titolo ‘The failure to decarbonize the global energy education system: Carbon lock-in and stranded skill sets’ si focalizza sulla transizione energetica legata alla trasformazione delle professioni e del mercato del lavoro.
L’obiettivo del report è valutare la velocità con cui l’istruzione superiore globale dovrebbe centrare l’attenzione più sulle rinnovabili, rispetto al comparto dei combustibili fossili. Purtroppo però, non è così.
I risultati infatti parlano di una realtà ben diversa, con sempre più neo-laureati formati invece per il campo delle industrie hard-to-abate.
18.400 università
Protagoniste del rapporto sono 18.400 università situate in ben 196 Paesi diversi. Di queste, è emerso che 6.142 offrono un’apposita istruzione in materia energetica, con il grande problema che la prevalenza di programmi educativi è ancora orientata su fonti troppo inquinanti. Questo vale per il 68% dei titoli di studio di questo genere, a fronte di un solo 32% a sostegno del comparto green.
Ciò che colpisce di più è sicuramente la non corrispondenza tra, la transizione già in atto a livello globale sotto diversi punti di vista, e un mondo universitario non ancora pronto per il cambiamento, o almeno così sembrerebbe.
Questo vale soprattutto per determinate professioni non solo scientifiche, tecnologiche e ingegneristiche, ma anche per ruoli più specifici come quello di elettricista, termotecnico e installatore.
Le percentuali
Si continua dunque a dare priorità al petrolio o al gas, ancora parte del mix energetico per chissà quanto tempo, soprattutto in determinati Paesi. Le percentuali sulle università infatti sono molto chiare, con gli autori che ne evidenziano 546 con all’interno delle facoltà dedicate alle fonti fossili, a fronte di 247 che offrono delle lauree specializzate sulle Fer.
Non è possibile ignorare poi un altro grande problema in vista di un futuro sempre più ‘green’: non si riuscirà a soddisfare la crescente domanda di forza lavoro nel settore delle energie pulite, almeno se la situazione non cambierà. Bisogna considerare anche che una carriera, talvolta, dura 30-40 anni, e anche questo dovrebbe cambiare per rendere più ‘vicina’ la neutralità climatica.
Cosa fare?
Cosa fare dunque? Per gli autori bisognerebbe investire di più sulla formazione dei giovani con quadri nomativi incentrati sulle Fer, con università e politica che dovrebbero entrambe orientare i finanziamenti pubblici e privati in tali settori.
Con il tempo poi, si potrebbero anche eliminare quei titoli di studio dedicati solo ai combustibili fossili, pianificando invece programmi nel campo dell’energia solare, eolica, idroelettrica e così via.
Anche l’Italia
Lo studio dunque evidenzia la necessità di lavoratori pronti a fare la differenza, anche nell’edilizia a basso consumo, nei sistemi di accumulo e nella mobilità elettrica.
Anche l’Italia vive purtroppo un’evidente carenza di progettisti e manodopera specializzata. Intervenire dunque su tale deficit non sarà di certo semplice, ma è necessario farlo subito se si vuole ottenere una vera conversione del settore energetico.