Professor Giovannini, oggi vorrei commentare con Lei il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo, risultato dal quale dipende anche il raggiungimento degli ambiziosi target di transizione energetica e l’implementazione, nel prossimo quinquennio, di ulteriori azioni per lo sviluppo sostenibile da parte dell’Unione.
Quali devono essere secondo lei le priorità della nuova governance?
Qualcuno mi chiede se il Green Deal sopravviverà o meno. Io credo che il tema dei prossimi 5 anni sarà, invece, quello legato al fatto che bisognerà decidere se l’Europa è un soggetto che fa le sue politiche soprattutto attraverso la regolazione, e cioè con Direttive, Regolamenti e così via, o se verrà ripetuta l’esperienza del Next Generation Eu, e quindi istituzionalizzata una capacità fiscale per competere con Stati Uniti, Cina, che stanno mettendo risorse finanziarie ingenti, copiando in qualche modo (soprattutto gli Stati Uniti) dall’approccio del Green Deal europeo. Perchè, per quanto noi possiamo cambiare la legislazione, magari allentandola con qualche aggiustamento rispetto a tutto quello che è stato deciso finora, il vero tema è chi finanzia la transizione energetica ed ecologica. Chi finanzia la ricerca per riuscire magari ad accellerare la scoperta di materie prime rare, come recentemente è stato annunciato dalla Norvegia. É dunque questo il vero tema, e su questo le posizioni dei Partiti, almeno a leggere i manifesti che hanno presentato, chi li ha presentati – perchè vorrei ricordare che Identità e Democrazia, quindi il gruppo a cui fanno riferimento la Le Pen, o Salvini, non ha proprio presentato neanche una riga. Mentre il gruppo dei Conservatori, quello a cui fa riferimento l’Italia, ha presentato solo 4 pagine, a fronte di manifesti molto più articolati delle altre forze politiche – si trova che due su tre dei partiti della futura maggioranza, cioè popolari e liberali, non parlano di un nuovo Next Generation. Cosa di cui parlano invece i verdi o i socialisti. Ecco, io credo che questo sarà alla fine veramente il tema centrale dei prossimi 5 anni.
Quali sono le criticità incontrate finora nell’attuazione, nazionale ed internazionale, dei programmi volti a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030? Occorrono riforme?
É stato un grande successo nel 2015 concordare sui 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, 169 target, avendo tutto il mondo che ha firmato l’Agenda 2030. I primi 4 anni di attuazione dell’Agenda, fino alla pandemia, sono stati anni che hanno spinto nella giusta direzione in termini di lotta alla povertà, di transizione ecologica, etc. Poi la pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi delle materie prime, l’inflazione ha sospinto indietro un po’ tutto il mondo rispetto al sentirero di sviluppo sostenibile, che ricordo non è una questione puramente ambientale, ma anche sociale, oltre che economica e istituzionale. Dunque il Segretario Generale dell’Onu, l’anno scorso, ha proprio organizzato un summit che mostra, come ha detto lui, che invece di “non lasciare indietro nessuno” che è lo slogan dell’Agenda 2030, a essere lasciata indietro è proprio l’agenda. Per questo a Settembre di quest’anno ci sarà un nuovo Summit, detto Summit del Futuro, per capire come i Paesi vogliono affrontare una serie di questioni fondamentali da un punto di vista multilaterale. A livello europeo, l’Europa in questi 5 anni ha fatto dei passi in avanti straordinari, in termini di lotta di lotta alle disuguaglianze, di transizione ecologica, digitale, ma anche di investimenti nella ricerca. Nella formazione dopo la crisi pandemica. Sono sufficienti? La risposta è no. Anche l’Europa, che è il luogo più sostenibile al mondo, non è su un sentiero di sviluppo sostenibile. Quindi bisogna accellerare. A Settembre dell’anno scorso tutti i Paesi che sono indietro, quindi un po’ tutti, si sono impegnati a fare un piano di accelerazione, l’Italia anche, ma non ne abbiamo mai visto traccia. Dunque dai pensieri, alle dichiarazioni internazionali, dalle parole ai fatti concreti resta un gap purtroppo drammatico che rischia di ripetersi anche con il Summit del futuro di Settembre.
ASviS ha pubblicato un Manifesto per un’Europa sostenibile, quali sono le proposte?
In primo luogo il fatto di continuare a tenere l’Agenda 2030 al centro di tutte le politiche europee. L’Unione Europea nel 2019 ha scelto proprio l’Agendaa 2030 e lo Sviluppo Sostenibile come architrave di tutte le politiche. Si è dotata di una serie di strumenti molto avanzati, notevoli, per rendere coerenti le varie politiche. Bisogna continuare su questa strada. Secondo aspetto: abbiamo bisogno di una transizione ecologica giusta, perchè altrimenti chi si sente lasciato indietro si opporrà. Questo mi riporta proprio al tema dei fondi, perchè Regioni, settori, lavoratori, i nuovi e quelli che eventualmente perderanno il posto di lavoro – perchè le transizioni, anche quella digitale, distruggono alcuni lavori, ma ne creano altri – vanno gestiti in modo coordinato, in modo da non lasciare nessuno indietro. Per questo la questione dei fondi è cruciale, ma non solo per questo. Abbiamo bisogno di mettere la politica industriale al centro delle politiche europee, non solo da punto di vista della Regolazione, ma anche degli investimenti comuni, per competere, a livello internazionale, con Cina e Stati Uniti. Senza dimenticare, e questo è il quinto punto, che abbiamo un pilastro europeo dei diritti sociali. Noi in Europa ci siamo dati un obiettivo di sviluppo, ma non a scapito dei più deboli, dei più giovani, a scapito soprattutto dei bambini. Su questo siamo drammaticamente indietro da vari punti di vista. Infine, il ruolo dell’Europa a livello internazionale, perchè nonostante le difficoltà, le crisi, la dimensione multilaterale della Politica internazionale va confermata. Qui l’Europa gioca un ruolo importante rispetto all’Africa. La Presidente del Consiglio Meloni con il Piano Mattei, sta cercando di coinvolgere anche nei vertici G7, altre aree del mondo perchè lo sviluppo sostenibile dell’Africa è una questione vitale per tutto il mondo. Se l’Africa, come purtroppo ha fatto l’Asia e in parte l’America latina, segue il nostro vecchio modello, che noi vogliamo abbandonare, non ce n’è per nessuno in termini di distruzione dell’ambiente, in termini di sviluppo diseguale, e quindi migrazioni. Abbiamo dunque l’interesse, in particolare come Europa, a supportare uno sviluppo sostenibile del continente africano, per cui abbiamo posto un tema che finora non aveva roposto nessuno, e cioè la possibilità di fare debito comune per un vero e molto robusto piano per lo sviluppo dell’Africa. Anche qui, che faccia concorrenza ai fondi che la Cina, la Russia, mettono a disposizione dei Paesi che entrano poi nella loro orbita economica. É un fatto geopolitico, ma è un fatto di sviluppo del nostro Continente, che è quello che pagherebbe i danni maggiori di un’Africa fuori controllo.
In questi giorni è in corso il G7 in Puglia. Cosa ne pensa della Carta di Venaria pubblicata in occasione dell’ultimo vertice Clima, Energia ed Ambiente di Torino? Cosa ci si augura che esca dagli incontri pugliesi di questi giorni?
Io non posso non richiamare la famosa canzone di Battisti, “Pensieri e Parole”, nel senso che noi leggiamo delle parole nei comunicati finali dei vertici, e poi però a questo devono seguire non solo azioni, ma pensieri coerenti. L’Europa, per esempio, ha preso l’impegno di diventare il primo continente mondiale carbon neutral, su questo è riuscito a portare tutto il mondo attraverso Cop28, il G7 giapponese ha confermato questi impegni, speriamo che anche il G7 a livello di capi di Stato e di Governo confermi quello che è stato concordato a livello di Ministri dell’Energia e dell’Ambiente, e poi abbiamo forze politiche o forze sociali, anche Associazioni importanti del mondo delle imprese che dice “no, rallentiamo”. Abbiamo sentito durante la campagna elettorale “mobilità sostenibile? No, ci pensiamo più avanti”, “edilizia sostenibile? No ci pensiamo più avanti”. É questa contraddizione tra dichiarazioni e reali provvedimenti, che ci fa essere poi molto attenti a cosa poi viene fatto in pratica, aldilà di quello che viene dichiarato. Un esempio rilevante è rappresentato dal PNIEC, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima dell’Italia , che dovremmo avere tra qualche settimana. Il Piano segnerà la politica energetica italiana per i prossimi 25 anni. Bene, verrà poi effettivamente realizzato e guiderà poi i comportamenti? Anche il recente Decreto che di fatto impedisce l’uso dei terreni agricoli per impianti di energie rinnovabili. Accettabile? Bene. Ma qual è la contromisura per raggiungere gli obiettivi che sono giù super ambiziosi. É questo che manca. Manca un controllo continuo delle decisioni, che vengono assunte in termini di coerenza con le strategie a medio termine. Ed è per questo che come Asvis noi siamo pronti a verificare ogni volta i contenuti dei provvedimanti mettendoli a confronto con i piani che dovrebbero portarci a ottenere quei risultati, ma che spesso sono semplicemente sulla carta. Questo è un danno per l’economia perchè come abbiamo illustrato nell’ultimo rapporto ASviS, simulando scenari alternativi insieme ad Oxford economics, abbiamo visto che ritardare anche solo di qualche anno le transizioni determina costi maggiori in termini di prodotto interno lordo, di occupazione, di sviluppo [..]
Cosa ne pensa del Piano Mattei, dell’intenzione di puntare sul Gas Naturale e di far diventare l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo?
Sono sinceramente preoccupato di questa scelta. Non perchè il gas non sia necessariamente una soluzione, ma di transizione, ma perchè in qualche modo rischiamo di ripetere l’errore che abbiamo commesso con la Russia. Oggi l’Algeria, che del Governo di cui ho fatto parte, è stato uno dei partner importanti per smuovere rapidamente le forniture dalla Russia a un’alternativa, rappresenta quasi la metà delle importazioni di gas italiane. Cosa succede in futuro nel Medioriente e nel Mediterraneo è un grande punto interrogativo. Ricordiamoci di quando l’Algeria ebbe a che fare con i Fratelli Musulmani, che avevano un atteggiamento violento e inaccettabile all’interno dell’Algeria, ma anche di contrapposizione forte con l’Occidente. Supponiamo un altro scenario di quel tipo, ci vorrebbe un attimo l’Algeria a tagliare i cordoni verso l’Italia e dunque l’Europa. Questo vuol dire non fare nulla? Ovviamente no, ma vuol dire che dobbiamo accellerare al massimo le rinnovabili, come è stato fatto in Portogallo, in Spagna, anche con risultati importanti in termini di abbassamrnto dei prezzi per le imprese e per le famiglie. Ecco abbiamo bisogno, in altri termini, di essere innovativi, di pensare all’autonomia strategica, di pensare alla competitività, rifugendo da slogan facili, e di essere estremamente resilienti a future crisi.