Illustrata alla COP27 la nuova edizione del Climate Change Performance Index 2023. Italia posizionata al 29° posto, a causa delle scarse performance climatiche e dei risultati deludenti sullo sviluppo delle rinnovabili. I più bravi al mondo sono stati Danimarca, Svezia e Cile. I peggiori Iran, Arabia Saudita e Kazakhistan.
Il Climate Change Performance Index 2023
Nonostante sappiamo ormai benissimo quanto le fonti energetiche rinnovabili siano fondamentali per raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali fissati entro il 2030 ed il 2050 e per migliorare la qualità dell’aria che respiriamo, il nostro Paese non sembra ancora intenzionato ad ingranare la marcia giusta su questi temi così centrali per il futuro di tutti noi.
Secondo il Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali Paesi del mondo redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente, l’Italia, in poche parole, non si impegna abbastanza nel rispettare gli accordi presi in occasione della COP21 di Parigi nel 2015.
La nuova edizione dell’indice vede l’Italia posizionarsi al 29° posto nel mondo (era al 30° l’anno scorso, quindi stabile nella parte centrale della classifica globale sulle performance climatiche), con risultati tutto sommato scarsi e mediocri.
In termini di indice globale, tra i più bravi Danimarca, Svezia, Cile, Marocco e India. Iran, Arabia Saudita e Kazakistan i peggiori. USA e Cina, principali responsabili delle emissioni globali, nelle posizioni di retroguardia.
Focus Italia: risultati scarsi per rinnovabili e impegni climatici
Guardando il focus Italia, a pesare sul nostro risultato, si evidenzia nel report, sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza.
Paghiamo quindi un evidente immobilismo in termini di performance climatiche, in particolare si sottolinea il poco fatto per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che vedono il nostro Paese al 33° posto di questo segmento di classifica (ma escludendo l’idrogeno dalle rinnovabili piomberebbe al 59° posto), e l’inadeguatezza delle politiche climatiche fin qui proposte.
Per fare un esempio, l’attuale Piano nazionale integrato energia e clima o Pniec è ancora fermo ad un obiettivo di taglio delle emissioni climalteranti del 37% entro il 2030 (rispetto al 1990).
Un Piano da aggiornare rapidamente, perché le minacce climatiche e legate all’inquinamento si sono fatte molto più concrete di quanto si immaginava fino a qualche anno fa: “Serve una drastica inversione di rotta e si deve aggiornare al più presto il PNIEC per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030”, ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.
“Andando, quindi, ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025, senza ricorrere a nuove centrali a gas. L’Italia può centrare l’obiettivo climatico del 65%, soprattutto grazie al contributo delle rinnovabili – ha precisato Ciafani – ma deve velocizzare sia gli interminabili iter di autorizzazione dei grandi impianti industriali alimentati dalle fonti pulite sia quelli delle comunità energetiche, causati soprattutto dai conflitti tra ministero dell’ambiente e della cultura e dalle inadempienze delle regioni”.
Le potenzialità delle rinnovabili e i vantaggi per il Paese
Secondo Climate Analytics, in Italia è possibile raggiungere almeno il 60% nel mix energetico e fino al 90% nel mix elettrico entro il 2030 e arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico già nel 2035, creando così le condizioni per giungere alla neutralità climatica ben prima del 2050. Una scelta già fatta dalla Germania, che si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 con il 100% di produzione elettrica rinnovabile entro il 2035.
Anche il settore delle imprese può fare molto e anzi, grazie ad una visione evidentemente più concreta del lavoro da farsi, potrebbero favorire la transizione energetica nazionale e il raggiungimento degli obiettivi climatici fissati per la metà del secolo.
Imprese che “assicurano da tempo la loro capacità di realizzare fino a 20 GW l’anno, se le autorizzazioni pubbliche riuscissero a reggere il ritmo (oggi marciano a circa 1 GW l’anno)”, si legge in una nota di Elettricità Futura.
I vantaggi potenziali derivanti da una reale accelerata sulle rinnovabili sarebbero diversi: 309 miliardi di euro di investimenti cumulati al 2030 del settore elettrico e della sua filiera industriale, di 345 miliardi di benefici economici cumulati al 2030 in termini di valore aggiunto per filiera e indotto, di 470 mila nuovi posti di lavoro nella filiera e nell’indotto elettrico nel 2030 (che si aggiungeranno ai circa 120 mila attuali) e di una riduzione del 75% delle emissioni di CO2 del settore elettrico nel 2030 rispetto al 1990.