Servono mediamente 5 trilioni di dollari di spesa annua aggiuntiva per raggiungere gli obiettivi climatici di metà secolo. Secondo il nuovo Rapporto Swiss Re, i segmenti strategici sui si dovrà investire di più sono la mobilità elettrica, l’elettrificazione e l’efficienza energetica.
Decarbonizzazione quanto mi costi?
La transizione ecologica è in corso in gran parte del mondo. Un percorso necessario per il raggiungimento degli obiettivi climatici entro il 2050, che comporta la riduzione a zero delle emissioni di gas serra.
Un traguardo ambizioso, che impone anche delle spese non indifferenti. Secondo uno studio Swiss Re, si stima come necessario per accelerare la transizione un volume di investimenti complessivo pari a 271,3 trilioni di dollari entro la metà del secolo.
Il settore a cui andrebbe rivolta la spesa maggiore è quello dei trasporti, in particolare della mobilità elettrica che, tra nuove infrastrutture di ricarica e sistemi di accumulo, richiederebbe investimenti mondiali per 114 trilioni di dollari.
Altri 78 trilioni di dollari dovrebbero esser spesi nella generazione di energia elettrica pulita, con nuovi impianti di fonti energetiche rinnovabili, reti elettriche di nuova generazione e smart grid.
Sempre nel settore energetico, si stimano nuovi investimenti entro il 2050 per 35,5 trilioni di dollari nell’elettrificazione. A livello industriale, solo per l’efficienza energetica servirebbero 39,3 trilioni di dollari da qui al 2050.
Mancano 5 trilioni di dollari all’anno
Il problema è che con il livello di spesa attuale, in tutte queste voci, l’obiettivo zero emissioni a livello mondiale non si raggiungerà prima del 2069-2070. Mediamente si stimano come necessari 5 trilioni di dollari di investimenti aggiuntivi annui per correggere la rotta.
Gli investitori, oltretutto, non hanno un quadro d’insieme trasparente per allocare al meglio le risorse finanziarie per la decarbonizzazione, perché molte delle imprese e delle industrie più inquinanti non comunicano pubblicamente le valutazioni dei rischi d’impresa legati all’impatto dei cambiamenti climatici sui loro modelli di business e come intendono affrontarli.
Gli investitori chiedono trasparenza
Secondo Carbon Tracker, think tank internazionale con sede a Londra che esamina l’impatto dei cambiamenti climatici sui mercati finanziari e sui settori economici prevalenti, quasi tutte le 134 società più inquinanti al mondo (98%), responsabili dell’80% circa di tutte le emissioni di gas serra, non hanno fornito prove documentali di integrazione nei bilanci delle voci clima e impatto ambientale.
“Quando le aziende non prendono in considerazione le questioni legate al clima, i loro rendiconti finanziari possono includere passività sottovalutate e profitti sopravvalutati“, ha affermato Barbara Davidson, Head of Accounting, Audit and Disclosure di Carbon Tracker, che è anche l’autore principale dello studio.
La prima cosa da fare è pretendere trasparenza e impegni ufficiali, altrimenti non solo il percorso di decarbonizzazione risulta falsato, con investimenti mal pianificati e risorse disperse, ma potrebbe allungarsi ulteriormente di molti anni.
I green bond a sostegno della decarbonizzazione
Il settore finanziario in questo gioca un ruolo centrale. Da qui arriveranno gli investimenti maggiori. Il mercato dei green bond rappresenta ancora meno del 2% del valore del mercato obbligazionario globale. È troppo piccolo, servirebbe un’azione più incisiva per ridurre gli ostacoli agli investimenti e favorire la convergenza internazionale sulla tassonomia per il clima e gli investimenti verdi.
Aumentare la spesa adesso per la decarbonizzazione di economia e industria, anche se in un momento storico critico e di massima tensione internazionale, si tradurrà, tra qualche decennio, in un impatto dei cambiamenti climatici sul PIL globale molto più contenuto.
Se non ci muoviamo subito, spendendo quello che serve in efficienza energetica, transizione ecologica e tecnologie sostenibili, rischiamo un taglio del 4% del PIL globale entro il 2050 proprio a causa dell’estremizzazione del clima. A livello locale, secondo altre stime, l’Italia rischierebbe di perdere fino a 8 punti percentuali di PIL.