Tra finanza e clima si è creato un legame spesso inscindibile, almeno a parole, anche se poi in realtà le banche vanno comunque in altre direzioni. Le prospettive della cosiddetta finanza ‘verde’, dunque, potrebbero apparire meno lineari che in teoria.
Banche per il clima
A livello globale, tra gli attori che si sono affermati in sostegno della transizione energetica e dei vari progetti per il clima, le banche hanno certamente ottenuto un ruolo cardine. Non soltanto nel comparto della c.d. finanza ‘verde’, ma anche in qualità di finanziatori, all’interno di complessi sistemi di partenariato pubblico-privati.
Il tutto, ovviamente, portando avanti iniziative anche di carattere simbolico. Non ultimo, l’insieme delle campagne promozionali e delle illustrazioni sull’operato dei capitali privati in favore dei nuovi paradigmi energetici.
Persino la Bloomberg, però, si è posta un importante quesito, interrogandosi sul livello dell’impegno delle banche per il clima. Questo, alla luce di alcune recenti operazioni che i principali rappresentanti della finanza hanno portato avanti.
Cambi di rotta
Al netto di un quadrante più generale, l’ormai prossimo insediamento dell’Amministrazione Trump non ha fatto altro che acuire tali dubbi. Come se le politiche degli istituti di credito e di quelli finanziari possano allinearsi – quasi anticipando – alle decisioni in materia che arriveranno dagli USA. In tale ottica, la stessa Bloomberg ha sottolineato una certa tendenza, che ha perorato tale ipotesi.
Nel 2021, le Nazioni Unite hanno dato vita alla Net-Zero Banking Alliance (NZBA). Trattasi di un’iniziativa che ha l’obiettivo di accelerare la transizione sostenibile del settore bancario internazionale per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050.
Eebbene, soltanto nell’ultimo periodo, hanno lasciato questo gruppo JPMorgan Chase & Company, Bank of America Corporation, BlackRock, Citigroup Inc. e Morgan Stanley. Tutti pilastri del settore, evidentemente non più inetressati a promuovere, almeno dal punto di vista simbolico, suddetto impegno.
Nonostante da parte loro siano arrivate le rassicurazioni del caso, è evidente come scelte simili non siano neutrali. I principali critici hanno considerato questa mossa, apparentemente simultanea, un evidente tentativo di accattivarsi il favore del prossimo Presidente statunitense.
Prospettive sinergiche
Oltre le dichiarazioni e almeno in Occidente (in Asia, al contrario, la direzione è ormai quella delle nuove fonti) si rischia dunque una minore implementazione dei sistemi delle rinnovabili. Gli investimenti privati in materia potrebbero allora rallentare, richiedendo ai soggetti pubblici garanzie ancora più onerose. Il recesso da gruppi e iniziative che incoraggiano pratiche di sostenibilità fungerebbe da volano.
A maggior ragione se dovessero essere approvati (nuovi) incentivi alle società che operano nel campo del fossile. Le conseguenze sui consumatori, però, potrebbero a loro volta legittimare dei ripensamenti, anche se minimi.
I primi mesi del 2025, dunque, serviranno a chiarire, se non lo scenario complessivo, almeno le direttrici che soggiacciono alle intenzioni dei principali gruppi finanziari mondiali. Principale indicatore per comprendere se la transizione energetica, almeno in Occidente, sarà costretta a rallentamenti e passi indietro.