Nel confronto con la Cina, le emissioni sono divenute una leva geopolitica, nella misura in cui possono servire per adottare, da parte dell’Occidente, delle politiche restrittive. Da Pechino, dunque, l’importanza dei numeri ha assunto una duplice funzione, tanto di riferimento quanto di confronto.
I numeri e le emissioni
Il contenimento delle emissioni, non solo di anidride carbonica (CO₂), ha assunto ormai la funzione di leva dialettica geopolitica, in particolare nel confronto tra Occidente e la Cina.
Nel contesto internazionale e degli impegni condivisi per ridurre le emissioni (si veda l’Accordo di Parigi), il dibattito tra i Paesi è sempre molto vario. In quest’ottica, per proteggere settori industriali particolarmente sensibili, le limitazioni della concorrenza possono legittimarsi per l’appunto in chiave climatica.
Tutto questo, ovviamente, con obiettivi che utilizzano l’ambiente come una sovrastruttura, in funzione dei propri interessi nazionali e regionali. Una cornice, che si è dimostrata particolarmente valida nell’Unione Europea.
Il rilancio del protezionismo europeo
La Commissione europea ha infatti imposto (nuovi) dazi sulle importazioni cinesi di biossido di titanio (TiO2), un composto chimico utilizzato nella produzione delle vernici e del cemento. La chimica, dunque, è servita all’Unione Europea per rilanciare il confronto con la Cina, in parallelo alle misure protezionistiche volte a proteggere il comparto comunitario delle rinnovabili.
Con riferimento al titanio, si sono definite delle aliquote variabili, comprese tra 0,25 e 0,74 Euro al chilogrammo, a seconda del grado d’impegno della specifica azienda cinese. Conseguentemente, le aziende europee potranno continuare a sostenere la domanda interna (comunitaria), migliorando e implementando anche le fasi di ricerca e sviluppo.
Anche in questo caso, dunque – come già nel ruolo della Banca europea per gli investimenti nella transizione energetica – si è confermato uno specifico paradigma. Ossia, quello di una cornice di garanzie ‘pubbliche’ che favoriscono e legittimano gli investimenti privati.
La centralità delle cifre
A proposito di numeri, secondo le Nazioni Unite – e come ha riportato la Reuters – la Cina avrebbe emesso 13 mld di tonnellate di gas serra climalteranti nel 2021. Ponendo al centro tali numeri, si è registrato aumento del 4,3% rispetto al 2020.
In termini assoluti (e non procapite), il Paese asiatico avrebbe così ottenuto lo status di principale inquinatore al Mondo. La precedente – nonché ultima – stima ufficiale riguardava il 2017, misurando le emissioni totali a quota 11,55 mld di tonnellate.
In quanto firmataria dell’Accordo di Parigi, Pechino ha il dovere di a presentare, ogni due anni, dei rapporti dettagliati sulle emissioni. Inoltre, deve anche documentare i propri progressi compiuti nell’adattamento e nella mitigazione dei cambiamenti climatici.
Documentare il cambiamento
Il primo rapporto biennale della Cina, presentato formalmente all’organismo delle Nazioni Unite per il clima alla fine di dicembre, ha mostrato uno scenario di particolare rilievo. Le emissioni annuali di gas serra sono cresciute di oltre il 70% dal 2005.
Questo, soprattutto a causa dell’aumento della domanda di energia. Nel 2021 le emissioni legate al settore energetico hanno rappresentato 11 mld di tonnellate. Il 76,9% del totale. Le sfide globali, a livello di confronto politico-climatico, saranno sempre pià complesse.
Tuttavia, non è improbabile ritenere che i numeri continueranno a fungere da base per legittimare interessi e promuovere nuovi sistemi geoenergetici.