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Il paradosso della Cina: record di emissioni e leadership nella transizione energetica

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Alla Cop29 si chiede maggiore leadership a Pechino. Il Paese è il maggiore inquinatore al mondo ma arrivano segnali di maggiore apertura nel campo della finanza climatica.

La Cina è il Paese con il più alto livello di emissioni di gas serra al mondo, con una media di 11 tonnellate pro capite. Allo tesso tempo però è anche leader globale negli investimenti e nello sviluppo di tecnologie per l’energia rinnovabile. Questo apparente paradosso, evidenzia l’Economist, la pone al centro del dibattito globale sulla lotta al cambiamento climatico, in particolar modo durante la Cop29 di Baku, in Azerbaigian, con molti osservatori che chiedono a Pechino di assumere una maggiore leadership nei negoziati. Soprattutto ora che, con la rielezione di Trump, si profila il disimpegno degli Stati Uniti dall’azione climatica. Molto, finora, si è giocato intorno allo status di Paese in via di sviluppo che la Cina ha sempre rivendicato, sostenendo che l’onere maggiore dei finanziamenti contro la crisi climatica dovesse ricadere sulle nazioni industrializzate. Di recente, però, funzionari cinesi hanno affermato che il Paese è disposto a contribuire volontariamente con ulteriori risorse.

La grande inquinatrice

Nel 2021, la Cina ha prodotto 15,9 miliardi di tonnellate di CO2, superando le emissioni combinate di Stati Uniti (11,5%), Unione Europea (6,8%), India (7,8%) e Russia (5,05%). Mentre l’Europa si prepara a eliminare gradualmente il carbone, la fonte fossile più inquinante e responsabile di gran parte dell’aumento delle emissioni globali negli ultimi vent’anni, la Cina continua a fare di questa risorsa un pilastro della propria sicurezza energetica. Grazie alle sue ampie riserve interne, nel 2022 la produzione e l’estrazione di carbone in Cina hanno toccato livelli record, contribuendo per oltre il 50% del totale con una produzione record di 4.700 milioni di tonnellate.

La spinta di banche e governi locali

Nel 2022, il gigante asiatico ha attratto il 38% degli 1,8 trilioni di dollari globalmente investiti in energie pulite. Inoltre, domina il mercato globale, producendo l’80% dei pannelli solari, il 68% delle batterie agli ioni di litio e il 50% dei veicoli elettrici. Il governo cinese ha saputo concentrare risorse nei settori chiave della green economy, grazie a una combinazione di incentivi e investimenti statali. I governi locali hanno infatti fornito terreni a prezzi agevolati e sgravi fiscali, mentre le banche statali hanno erogato prestiti a basso costo. Inoltre, sottolinea l’Economist, il Paese ha accelerato sul fronte degli impianti nucleari, costruendo centrali a ritmi superiori rispetto alle altre nazioni.

Le risposte di Pechino alle critiche

Di fronte alle accuse di essere il principale responsabile della crisi climatica, la Cina difende la propria posizione evidenziando che il Paese ha iniziato il processo di industrializzazione molto più tardi rispetto a Stati Uniti ed Europa, responsabili di gran parte delle emissioni cumulative di Co2. Inoltre, l’alto livello di emissioni è anche legato al fatto che molti Paesi sviluppati hanno esternalizzato la loro produzione industriale – e quindi le relative emissioni – proprio in Cina.

Cosa si muove

Durante la Cop29 il rappresentante speciale del presidente cinese Xi Jinping, Ding Xuexiang, ha presentato il piano d’azione della Cina sull’allerta precoce per l’adattamento ai cambiamenti climatici (2025-2027). Recentemente, scrive Energia Italia news, Pechino ha approvato anche una legge per promuovere la neutralità carbonica, impegnandosi a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità entro il 2060. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la produzione di energia rinnovabile in Cina sta crescendo più rapidamente rispetto alla domanda di elettricità. Questa tendenza, combinata con l’espansione dell’energia idroelettrica e nucleare, potrebbe segnare una riduzione significativa del consumo di carbone già da quest’anno.

Xi considera le energie rinnovabili una delle principali “forze produttive” per il futuro economico del Paese. Come evidenzia sull’Economist Ilaria Mazzocco del Csis (Centro per gli studi strategici e internazionali), per il presidente cinese “queste sono diventate industrie prioritarie”, a prescindere dalle turbolenze geopolitiche.

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