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GNL, completata la piattaforma offshore di Ravenna. Opportunità o investimento obsoleto?

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Snam ha completato l’installazione della piattaforma offshore di Ravenna, un’infrastruttura ingegneristica di 2.800 tonnellate che consentirà l’ormeggio della nave rigassificatrice BW Singapore e delle navi gasiere incaricate di rifornirla di gas naturale liquefatto (GNL). Secondo le informazioni diffuse, l’infrastruttura dovrebbe apportare vantaggi economici significativi all’area di Ravenna. Tuttavia, recenti studi indipendenti sollevano dubbi sull’effettiva sostenibilità ambientale del GNL, mettendo in discussione le dichiarazioni ufficiali riguardo al suo ruolo come “carburante di transizione”.

Ultimata la piattaforma offshore di Ravenna

Snam ha annunciato il completamento dell’installazione della piattaforma offshore di Ravenna, opera ingegneristica in mare aperto da 2.800 tonnellate, progettata per accogliere sia la FSRU che le navi gasiere di rifornimento. Per la fase finale – dichiara il leader energetico in un comunicato – sono in corso gli ultimi collegamenti tra il tratto di tubazione posato sulla piattaforma e la rete sottomarina, già connessa al “Nodo” di Ravenna

Attenendosi esclusivamente ai dati diffusi a mezzo stampa, la realizzazione dell’infrastruttura apporterà solo benefici, tra cui un impatto economico significativo sul territorio, con investimenti che hanno raggiunto circa un miliardo di euro. Inoltre, l’approccio di Snam viene definito encomiabile dal punto di vista ambientale, rispettando migliaia di parametri sia a livello onshore che offshore. Tuttavia, il quadro che si delinea con i dati forniti da studi recenti sul GNL, risulta meno confortante e fa sorgere dei dubbi di fronte ad affermazioni di questo tipo:

Abbiamo tagliato un altro traguardo importante [..]un tassello fondamentale per consolidare la sicurezza energetica del Paese e dell’Europa, anche a fronte della progressiva evoluzione dei flussi di gas. Il GNL copre ormai un quarto degli approvvigionamenti nazionali di gas, e con l’entrata in funzione della BW Singapore arriveremo a disporre di volumi pari a quelli che l’Italia riceveva dalla Russia nel 2021, consentendo al sistema una ulteriore diversificazioneha commentato l’Amministratore Delegato di Snam, Stefano Venier.

Che cos’è la rigassificazione?

La rigassificazione è il processo che consente di trasformare il gas naturale liquefatto (GNL) dallo stato liquido a quello gassoso, permettendone così la distribuzione ai consumatori in superficie mediante la rete nazionale. Si tratta, quindi, di una fase essenziale per utilizzare il GNL importato da altri paesi via mare, in quanto solitamente, per questioni di ingombro e di efficienza, il gas viene trasportato in forma liquida a temperature estremamente basse (-162°C). 

Il ruolo strategico del GNL in Europa

Nella linea politica dell’Unione Europa seguita alla crisi energetica innescata dalla guerra russo-ucraina, l’import di GNL da Stati Uniti, Quatar e Algeria ha assunto ruolo strategico per diversificare le fonti di approvvigionamento e garantire la sicurezza energetica. Nel caso dell’Italia, il progetto della FSRU BW Singapore, realizzato dalla Società guidata da Stefano Venier al largo di Ravenna, viene considerato dunque un’importante aggiunta alle infrastrutture energetiche strategiche nazionali. L’unità di rigassificazione galleggiante (FSRU, Floating Storage and Regasification Unit) BW Singapore, infatti, una volta operativa, sarà in grado di trasformare fino a 5 miliardi di metri cubi di GNL all’anno, pari al 40% del fabbisogno annuale del paese, quota che sostituirà in gran parte l’importazione di gas dalla Russia. Studi di ultima generazione, però, dimostrano che il gas naturale liquefatto (GNL) che l’Europa importa, inquina circa il 30% in più rispetto a quanto ipotizzato dal Regolamento sui carburanti puliti per il trasporto marittimo, il FuelEU Maritime. In particolare, dalla nuova analisi di Transport & Environment, organizzazione indipendente europea per la decarbonizzazione dei trasporti, emerge che a causa delle cosiddette “emissioni upstream”, quelle che si verificano prima del consumo a bordo dell’imbarcazione,  il GNL proveniente dai principali fornitori dell’UE è inquinante tanto quanto il carburante che sostituisce. “Anche quando il GNL di importazione ha minori emissioni a monte, come quello proveniente dalla Norvegia e dal Regno Unito, la riduzione delle emissioni è comunque limitata” si legge nello studio.

La FuelEU Maritime

La legge dell’UE sui carburanti sostenibili per il trasporto marittimo (FuelEU Maritime), iniziativa rientrante nel pacchetto Fitfor55, incoraggia l’adozione di carburanti alternativi più sostenibili, come il gas naturale liquefatto (GNL) appunto, definito “a basse emissioni di carbonio”, l’ammoniaca verde, il metanolo, il biocarburante e, in futuro, l’idrogeno. Più nel dettaglio, quest’ultima calcola le emissioni del carburante in base al ciclo di vita, vale a dire tenendo conto sia delle emissioni a monte del consumo del carburante, sia di quelle derivanti dalla sua combustione. Tuttavia, la normativa assegna un valore standard alle emissioni correlate alle attività estrattive, di processing e di trasporto del GNL, che possono invece variare notevolmente a seconda dell’origine del combustibile e del modo in cui viene prodotto.

Un errore di calcolo?

L’analisi di T&E mostra che le emissioni upstream del GNL importato in Europa sono mediamente del 30% superiori a quanto stimato, con un valore medio di 24,40 gCO₂e/MJ. Questo errore nella misurazione degli impatti del GNL, secondo il think thank, sta inducendo molte compagnie a puntare su questo tipo di carburante per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità. Eppure basterebbe una misurazione più precisa delle emissioni reali del gas fossile nel trasporto navale per scoprire che una singola nave portacontainer di grande dimensioni, alimentata a GNL, arriva a emettere circa 2.731 tonnellate di CO₂ equivalenti in più in un anno di attività.

La piattaforma offshore di Ravenna potrebbe diventare obsoleta nel breve termine

All’evidenza dei fatti appare lecito chiedersi se l’investimento nella piattaforma offshore di Ravenna e nella FSRU rappresenti un impegno economico obsoleto, in quanto diretto a un’infrastruttura destinata a combustibili fossili. Questo indubbiamente potrebbe rallentare la transizione verso le fonti rinnovabili.

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