L’energia rimane il fulcro delle ambizioni geopolitiche americane, ma la nomina di Chris Wright, pioniere del fracking e avversario della green transition, a capo del Dipartimento dell’Energia segna una svolta radicale. Mentre gli Stati Uniti puntano ancora su petrolio e gas, la Cina accelera sull’energia pulita con progetti su scala globale. La polarizzazione tra Washington e Pechino potrebbe avere effetti irreversibili, lasciando agli USA un futuro energetico legato al passato.
Chris Wright, un amico delle Big Oil al comando del Dipartimento americano dell’energia
L’energia è un settore a dir poco strategico per qualsiasi Paese al mondo, in particolare per la superpotenza americana. Si sapeva da tempo che Donald Trump non amava la transizione energetica e che avrebbe fatto di tutto per fermare ogni progetto di decarbonizzazione, a favore, al contrario, di politiche energetiche profondamente orientate al tradizionale, cioè i combustibili fossili.
La proposta di nomina di Chris Wright a capo del Dipartimento dell’Energia (DoE) non stupisce quindi più tanto, ma certamente preoccupa.
Wright è di fatti considerato un pioniere della tecnologia frackig per estrarre gas e petrolio, è amministratore delegato di Liberty Energy e da sempre è un accanito negazionista di ogni teoria sul cambiamento climatico e un irriducibile avversario della green transition. L’uomo ideale per la strategia energetica di Trump.
Il dominio energetico americano è ancora possibile?
Una strategia che da un lato vuole riportare l’America a spingere seriamente l’acceleratore su gas e petrolio, dall’altro ad affermare il dominio energetico americano sul mondo.
Nel 2023, secondo la U.S. Energy Information Administration, gli Usa hanno prodotto 12.930.000 b/g di greggio, +5% rispetto al precedente massimo di 12.310.000 b/g registrato nel 2019, mentre la produzione di gas naturale è stata di 125 miliardi di piedi cubi al giorno (all’incirca 1.249 Gm3 annui), +4% nei confronti del precedente record toccato nel 2022.
“Il mese scorso, il veterano dei servizi petroliferi, David Messler, ha suggerito che la produzione di petrolio Usa nella zona di scisto potrebbe essere vicina al suo picco e al conseguente plateau. Tra le cause, Messler ha citato l’accelerazione dei tassi di declino dei pozzi di scisto e la raffica di acquisizioni nel settore petrolifero, con le aziende che si sono affrettate ad assicurarsi le scorte”, si legge su Oilprice del 18 aprile 2024.
Produzione di petrolio USA verso il picco?
Secondo un approfondimento offerto da Demostenes Floros su analisidifesa.it, anche per il geologo americano, Art Berman, la produzione di gas di scisto ha raggiunto il suo picco, dal momento che l’output dei tre maggiori giacimenti negli Stati Uniti ha smesso di crescere, nonostante ogni mese vengano trivellati molti pozzi nuovi. Ciò, a detta di Berman, non si esclude porterà in futuro all’introduzione di severe restrizioni sulle esportazioni di gas naturale americano. Di conseguenza, non ce ne sarà abbastanza per la terza ondata produttiva negli Stati Uniti.
“Qualora Berman avesse ragione, e i frackers Nord-americani, a partire da quelli di dimensioni minori, non riuscissero più ad invertire il tendenziale calo della produttività dei pozzi scistosi a causa dei costi crescenti, la priorità tra il mercato interno in forte crescita, a partire dai consumi riconducibili allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, e le esportazioni sarebbe più che evidente, con potenziali gravi conseguenze per la sicurezza energetica dell’UE, la cui dipendenza energetica dall’estero si è situata attorno al 61% nel 2022 (79% circa, per l’Italia)“, ha scritto Floros.
Il punto è che gli Stati Uniti, anche sotto l’attuale Presidente Joe Biden, sono già tra i primi fornitori di combustibili fossili al mondo, ma il dominio energetico è altra cosa. L’altra superpotenza rivale, la Cina, sta accelerando seriamente sulla transizione energetica, in particolare sulle tecnologie pulite che abilitano questo percorso ‘green’.
La Cina punta sull’energia pulita e le sue tecnologie. Due visioni del mondo divergenti
Basti pensare che il grande Paese asiatico sta costruendo due terzi, circa 339 GW, dei progetti solari ed eolici di impianti industriali di grandi dimensioni su scala globale. Ciò basterebbe ad alimentare più di 250 milioni di case, quasi il doppio del numero di case esistenti negli Stati Uniti.
Contro i 40 GW degli Stati Uniti, i 33 GW dell’Unione europea, i 13 del Brasile, i 10 del Regno Unito e i 9 dell’Arabia Saudita.
Un dato straordinario, quello cinese, che si aggiunge ai 758 gigawatt di capacità eolica e solare che ha già costruito, secondo una ricerca pubblicata da Global Energy Monitor.
Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, l’energia solare cinese si sta espandendo così rapidamente che, entro l’inizio degli anni ’30, il Paese genererà più energia dal sole di quanta ne consumeranno tutti gli Stati Uniti.
La Cina è anche leader mondiale nell’esportazione di pannelli solari in tutto il mondo, con la maggior parte destinata all’Europa e una crescita notevole in Africa.
Il distacco tra USA e Cina in termini di tecnologie green potrebbe risultare irrecuperabile
Gli Stati Uniti in risposta hanno imposto restrizioni alle importazioni di energia solare cinese cercando allo stesso tempo di sviluppare rapidamente di una propria catena di fornitura nazionale per l’energia solare ma sembra quasi un ripiegamento, una dichiarazione di sconfitta su questo campo di gioco.
La mossa di Trump avrà come conseguenza una perdita di posizioni e di competitività delle imprese energetiche americane in questo mercato. Già oggi il gap con Pechino è notevole, ma con Wright e il suo negazionismo radicale potrebbe risultare irrecuperabile il distacco.
Washington e Pechino di fatto stanno polarizzando il settore energetico in maniera drastica, con ampi risvolti politici rintracciabili in maniera evidente in ogni summit internazionale, in particolare nelle ultime edizioni della Conferenza delle parti (COP), tra cui l’ultima in corso a Baku (COP29).