Alla COP29, il dibattito sul finanziamento climatico si concentra non solo sull’aumento dei fondi per la transizione energetica, ma anche sull’espansione dell’elenco dei Paesi contributori. Mentre la kermesse di Baku si è arenata a causa del disaccordo tra UE, USA e Cina, dal G20 di Rio, che si sta svolgendo in parallelo, arriva una proposta che, superando l’impasse dei “Grandi” decisori, potrebbe cambiare le sorti della lotta al cambiamento climatico.
Il G20 può sbloccare lo stallo di Cop29
Alla Cop29 si discute per trovare un accordo sul New Collective Quantified Goal, l’obiettivo di finanziamento climatico comune che, dal 2025, dovrebbe sostituire il precedente da 100 miliardi all’anno. Parallelamente, in occasione del G20 in corso a Rio de Janeiro, circa 60 sindaci e leader di città di tutto il mondo hanno richiesto 800 miliardi di dollari in investimenti pubblici annuali, entro il 2030, per la lotta al cambiamento climatico.
Anche se i riflettori sono puntati su Baku, dunque, una risposta alla necessità di mobilitare fondi per sostenere la transizione energetica arriva in maniera decisamente più pragmatica dal G20. Peraltro dai Paesi riuniti il 18 e 19 novembre in Brasile, arrivano circa l’80% delle emissioni di gas serra, un motivo in più per sbloccare lo stallo in cui si è arenata la Conferenza mondiale sul clima.
Scontro tra Ue, Stati Uniti e Cina
A quanto pare a Cop 29 non si riesce a cavare un ragno dal buco. In particolare, uno dei maggiori punti di scontro di Baku è l’inclusione di nuovi contributori per il raggiungimento dei target economici previsti. Il gruppo africano, sostenuto anche dal G77, organizzazione intergovernativa che riunisce 134 Paesi in tutto il mondo, e la Cina, hanno avanzato una proposta ambiziosa: 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2030. Tradizionalmente, solo alcune decine di nazioni ricche, tra cui Stati Uniti e Unione Europea, sono state responsabili di questi pagamenti. L’anno scorso, gli Stati Uniti hanno contribuito con quasi 10 miliardi di dollari, mentre l’Unione Europea ha fornito una somma più consistente di 31 miliardi di dollari. Quest’anno, però, è stato chiesto anche alla Cina e alle nazioni del Golfo, ricche di petrolio, di iniziare a contribuire. Tuttavia, di fronte alla proposta, il gigante asiatico ha preferito affermare il proprio status di paese in via di sviluppo, sostenendo che non dovrebbe assumersi gli stessi obblighi dei paesi storicamente industrializzati. Secondo Pechino, le nazioni con una storia di industrializzazione più lunga, e quindi con maggiori emissioni cumulative, hanno una responsabilità più alta nei confronti del finanziamento climatico.
Un nuovo approccio
Un nuovo approccio potrebbe, quindi, includere un modello di finanziamento “multi-livello“, proporzionato ai bilanci governativi delle nazioni ricche, ma anche alle capacità finanziarie dei PVS, delle banche multilaterali e degli investitori privati.
É questo il contesto in cui nasce e si muove l’accordo di Rio de Janeiro. Il documento menziona i contributi volontari delle nazioni in via di sviluppo alla finanza climatica, e non parla di obbligatorietà, ma potrebbe rappresentare una svolta in tal senso, aprendo la strada all’allargamento della base dei contributors.
Il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha ricordato l’importanza del ruolo del G20 nella lotta al cambiamento climatico. “Il G20 è responsabile dell’80% delle emissioni globali,” ha dichiarato Guterres, esprimendo preoccupazione per lo stallo dei negoziati della COP29 in corso a Baku ed invitando i leader del G20 a fare di più per contrastare la crisi climatica. Anche Simon Stiell, il responsabile climatico dell’ONU, ha sollecitato i leader del G20 ad agire con urgenza. In una lettera inviata sabato, Stiell ha fatto appello ai leader affinché aumentino i finanziamenti sotto forma di sovvenzioni destinate ai paesi in via di sviluppo e sostengano le riforme delle banche multilaterali di sviluppo.