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Quando torneremo sulla Luna? La corsa al satellite (e non solo) tra Usa, Cina e Space X

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Mentre si svolge la Settimana mondiale dello spazio, un punto sui programmi di Stati e privati per la conquista del cosmo. Prossimo allunaggio previsto per il 2026. Ma in molti, tra cui Elon Musk, guardano a Marte. E il turismo spaziale incombe. 

La settimana scorsa, l’Agenzia spaziale cinese (Cmsa) ha presentato la tuta spaziale progettata per gli astronauti che, nei prossimi anni, conquisteranno la Luna. La tuta (e l’evento in generale) fanno parte del fitto programma spaziale che il Dragone rosso ha messo in campo per affermarsi come superpotenza del settore, nella corsa per ritornare a mettere piede sul satellite dall’ultimo allunaggio, avvenuto nel lontano dicembre 1972.

La tuta è stata presentata in pompa magna: ha una schermatura speciale per proteggere gli astronauti dall’ambiente estremo (le temperature sulla Luna vanno da circa 120°C nelle zone illuminate a -130°C in quelle buie) e dalla polvere lunare, il casco contiene telecamere per una visuale in prima persona e le strisce rosse sul busto della tuta (che ricordano le armature tradizionali) si ispirano all’arte cinese e al Partito Comunista. È inoltre particolarmente leggera: “È indispensabile ridurre notevolmente il peso della tuta”, ha detto Wang Chunhui, capo progettista del China astronaut research and training center, “a causa del carico metabolico del corpo umano durante le camminate”.

Definire però esattamente quando questo accadrà è tutto un altro paio di maniche, e dato che in questi giorni (4-10 ottobre) ricorre la Settimana mondiale dello Spazio, fare un po’ di conti non guasta. Negli ultimi anni si sono susseguite dichiarazioni, a volte troppo entusiastiche a volte più attendibili, sul ritorno dell’essere umano sulla Luna e, soprattutto, sulla conquista di Marte, il sogno proibito della scienza spaziale. Mettere ordine non è semplice, ma possiamo provarci.

Quando?

Per fare una panoramica abbastanza affidabile bisogna iniziare dal programma Artemis, la missione spaziale che al momento sta più avanti con i lavori. Artemis è capitanato dalla Nasa, in collaborazione con aziende statunitensi di voli spaziali commerciali (Space X di Elon Musk) e partner internazionali come l’Esa (Agenzia spaziale europea), Jaxa (Agenzia spaziale giapponese) e Csa (Agenzia spaziale canadese). L’iniziativa ha come obiettivo quello di portare “la prima donna e il prossimo uomo” sulla Luna, in particolare nella regione del polo sud del satellite. L’Italia è in pole position nel progetto: oltre a operare all’interno dell’Esa in qualità di Agenzia spaziale italiana (il nostro Paese è il terzo finanziatore europeo dell’Esa, dopo Francia e Germania), ha stipulato un accordo bilaterale con la Nasa nel 2020, i cosiddetti Artemis Accords.

Quella di Artemis è un’opera di grande collaborazione e cooperazione internazionale, che promuove il progresso scientifico e tecnologico, ma anche un’occasione di profitto, soprattutto per i privati (per dare un’idea, il valore della space economy italiana si aggira attualmente intorno ai tre miliardi di euro, ed è destinato a crescere). Privati che trarranno guadagno prima lavorando al programma pubblico, e poi accaparrandosi una parte delle risorse che verranno estratte dalla Luna, soprattutto metalli e terre rare, materiali preziosi per i dispositivi tecnologici.

Parlando di annunci rimandati, il 9 gennaio di quest’anno la Nasa ha dato la notizia che le due missioni del programma Artemis sarebbero state rimandate di un anno ciascuna. Artemis 2, la prima dotata di equipaggio del programma, eseguirà un sorvolo lunare e tornerà sulla Terra a settembre 2025 (era prevista per novembre 2024). Mentre Artemis 3, che prevede lo sbarco sulla Luna, è posticipata a settembre 2026 (dalle previsioni che la davano al 2025).

I motivi sono diversi. Tra questi, problemi tecnici emersi dopo l’analisi della missione Artemis 1 (volo di collaudo lanciato nel 2022, senza equipaggio). Sono stati infatti registrati alcune anomalie allo scudo termico (che protegge l’equipaggio durante il rientro nell’atmosfera terrestre, a una temperatura di circa 2.750 gradi e una velocità di 40mila chilometri orari) e un difetto di progettazione in alcuni sistemi di supporto vitale, come il depuratore di anidride carbonica. Inoltre, ci sono stati dei ritardi nella realizzazione della Lunar Gateway, la stazione spaziale in orbita cislunare che supporterà le missioni Artemis e fornirà uno spazio di appoggio per tutte le missioni future verso la Luna e poi verso Marte.

Tornando alla Cina, i piani di Pechino prevedono per il primo allunaggio una permanenza degli astronauti per un breve periodo (circa sei ore), con l’obiettivo però di un’esplorazione futura più a lungo termine. Il Paese invierà perciò alcune missioni robotiche al polo sud lunare nel 2026 e nel 2028 (ne ha già inviata una a giugno 2024, attestandosi come il primo Paese ad atterrare sul lato nascosto della Luna), per indagare le risorse e testare il luogo adatto per una possibile base. Secondo le stime, la Stazione Internazionale di Ricerca Lunare (ILRS), una base vera e propria sul satellite, sarà costruita negli anni ‘30, e potrà ospitare gli esseri umani per soggiorni di breve durata. L’obiettivo della Cina è quello di diventare il secondo Paese (se non ci saranno altri scivoloni da parte di Artemis) a far sbarcare gli astronauti sulla Luna, entro il 2030. E per metà secolo Pechino prevede di rendere operativa la stazione di ricerca lunare in modo permanente.

Ma la Cina non si ferma alla Luna. Il Paese vuole portare i suoi astronauti su Marte entro il 2033 (dopo aver già fatto atterrare un rover nel 2021) e per il 2045 si è posta l’obiettivo di operare circa mille voli spaziali all’anno. A luglio 2023 LandSpace Technology (azienda privata cinese) è stata la prima società privata al mondo a lanciare un razzo vettore a metano e ossigeno liquido, un passo cruciale per costruire razzi a basso costo.

Un chiaro segnale della concorrenza che la Cina sta facendo agli Stati Uniti, sia sul piano pubblico che privato, cercando di trovare una risposta convincente alla Space X di Elon Musk. Lo spazio ha infatti un’importanza strategica per Pechino: a settembre 2020, la Cina ha presentato all’Unione internazionale delle telecomunicazioni un piano ben strutturato per inviare la costellazione satellitare China SatNet (concorrente di Starlink, sempre di Musk), mandando in orbita i suoi primi satelliti ad agosto di quest’anno, e prevedendone circa 300 entro il 2030. E anche i numeri e gli investimenti parlano chiaro: secondo l’agenzia di stampa Caixin, la space economy cinese è passata da 376,4 miliardi di yuan (48,6 miliardi di euro) nel 2015 a 836,2 miliardi di yuan (107 miliardi di euro) nel 2019, con un tasso di crescita annuale del 22,1%. E si prevede che le dimensioni del mercato supereranno i 310 miliardi di euro entro la fine di quest’anno.

Oltre Usa e Cina

Ma le altre nazioni non stanno di certo a guardare. Il Programma Chandrayaan (India) racchiude una serie di missioni attualmente in corso dell’Agenzia indiana per la ricerca spaziale (Isro) per esplorare la Luna. Finora ci sono state tre missioni (tutte senza equipaggio), tra cui la più celebre si è svolta ad agosto 2023, quando l’India si è affermata come la prima nazione a far atterrare un veicolo spaziale nella regione del polo sud lunare.

C’è poi il Giappone, con il suo programma dell’Agenzia spaziale Jaxa. Si parla di varie missioni, che vanno avanti da circa trent’anni: Hiten nel 1990, seguita da Selene (Kaguya) nel 2007, un orbiter per studiare la geologia lunare. Poi nel 2022 Hakuto-R, prima missione giapponese con lander privato (che però si è conclusa nel peggiore dei modi, con uno schianto sul suolo lunare), mentre la missione Slim, partita nel 2023, è atterrata sul satellite a gennaio 2024 (anche se con alcuni problemi tecnici, come il mancato funzionamento delle celle solari). Il Giappone ha inoltre sviluppato una collaborazione con l’India per la costruzione del Moon-to-Earth Transfer Vehicle (Metv) per il trasporto di carichi e passeggeri tra la Luna e la Terra.

C’è poi l’Europa. Come abbiamo già detto l’Esa partecipa attivamente al programma Artemis a conduzione americana. Ma il lancio di Ariane 6, avvenuto il 9 luglio di quest’anno dallo spazioporto di Kourou, nella Guyana Francese, ha rilanciato il ruolo del Vecchio Continente nella corsa allo spazio. Ariane 6 è un progetto da 4,5 miliardi di euro a cui hanno collaborato ben 13 Paesi europei, ed è un razzo capace di trasportare alternativamente satelliti molto grandi, come quelli della serie europea Galileo, o satelliti più piccoli. Il lancio di prova – che ha portato con sé una ventina di mini e microsatelliti appartenenti a università, imprese e startup – è stato un mezzo successo. Come scrive il giornalista Emilio Cozzi su Wired: “A circa due ore dal decollo, un problema non meglio identificato all’unità di propulsione ausiliaria, o Apu, ha fatto perdere la traiettoria corretta al secondo stadio del razzo e impedito la terza riaccensione del suo motore, il Vinci, una novità di Ariane 6”. Questo malfunzionamento ha prodotto una deviazione che ha impedito ad Ariane 6 di raggiungere l’altitudine necessaria per rilasciare l’ultimo carico, malfunzionamento che, assicurano gli esperti, non avrà impatti negativi sulle prossime missioni. Jeff Bezos, patron di Amazon e Blue Origin, ha già prenotato una metà della trentina di voli che il programma svolgerà nel prossimo futuro, per rilasciare la sua costellazione di satelliti Kuiper nell’orbita terrestre bassa. E se gli astronomi continuano a lamentarsi per l’eccessivo traffico di satelliti che, oltre a incrementare l’inquinamento atmosferico, impedisce di scrutare l’universo, evidentemente poco importa.

Questa, comunque, una mappa dei nostri viaggi sul satellite fino al 2023, se può interessare.

Fonte: Wired

Marte: un “deserto in più”?

Secondo Musk, lungotermista della prima ora, in futuro dovremmo abituarci all’idea di diventare una “umanità interplanetaria”. E Space X, fondata nel 2002 dal patron di Tesla, nasce proprio per questo: rivoluzionare il settore dei viaggi spaziali (riducendo il costo dei lanci e rendendo lo spazio accessibile a tutti, o meglio a chi se lo può permettere), puntando in particolare all’esplorazione e alla colonizzazione del pianeta rosso. L’azienda di Musk collabora attivamente con la Nasa, rifornendola di strumentazione e veicoli, una collaborazione nata anche a causa della diminuzione drastica di fondi pubblici nel settore. Per dare qualche numero: la missione Apollo costò agli Stati Uniti circa 120 miliardi di dollari attuali, e nel 1966 il budget federale riservato alla Nasa aveva superato il 4,4% del totale. Negli ultimi 40 anni è sceso al di sotto dell’1% e negli ultimi 15 è arrivato allo 0,4%.

Musk ha detto di voler lanciare circa cinque missioni Starship (veicolo di lancio riutilizzabile super pesante in fase di sviluppo da parte di SpaceX) entro il 2026 e di inviare la prima missione su Marte con equipaggio nel 2028. Sappiamo però che sui proclami dell’imprenditore di origini sudafricane c’è da fare poco affidamento (indicava già un volo su Marte nel 2018), e che bisogna inquadrarli più che altro all’interno di una strategia pubblicitaria per mantenere alta l’attenzione sul tema, e forse attrarre fondi.

Nonostante gli ostacoli, principalmente tecnici, della questione, il sogno di Musk è quello di vedere migliaia di Starship dirette verso Marte, un evento definito da lui stesso “uno spettacolo glorioso da vedere”.

“Il tasso di volo crescerà esponenzialmente, con l’obiettivo di costruire una città autosufficiente in circa 20 anni”, ha pronosticato. Il progetto, molto ambizioso, secondo Musk è realizzabile: “Space X ha creato il primo stadio di un razzo completamente riutilizzabile e, cosa molto più importante, ha reso il riutilizzo economicamente sostenibile. Rendere la vita multiplanetaria è fondamentalmente un problema di costi”, ha spiegato. Musk ha infatti dichiarato che attualmente i costi si aggirano attorno a “circa un miliardo di dollari per portare una tonnellata di carico utile sulla superficie di Marte”. Bisogna dunque “migliorare e portare la cifra a 100mila dollari per tonnellata per costruire una città autosufficiente”, motivo per cui “la tecnologia deve essere 10mila volte migliore. Estremamente difficile, ma non impossibile”.

Detto questo, la domanda che ci si pone è se su Marte, alla fine, abbia senso provare a viverci. Ci sono infatti una serie di problematiche legate a un’eventuale colonizzazione di Marte, che fanno sembrare il pianeta rosso poco invitante: l’atmosfera non è respirabile, la temperatura resta decine di gradi sottozero per la maggior parte dell’anno e non ha un campo magnetico utile a proteggere gli abitanti dalle radiazioni. L’acqua su Marte ci sta, ma tra 11,5 e 20 chilometri sotto la sua superficie. Bisognerebbe quindi costruire trivelle in situ per scavare a fondo, un’operazione complicatissima. In uno dei suoi discorsi (questo sì abbastanza delirante) Musk propose anche di “terraformare Marte” utilizzando bombe nucleari lanciate sui poli per vaporizzare il ghiaccio e modificare il clima.

Il pianeta rosso quindi sembra tutto tranne che la terra promessa immaginata da Musk (quando la sonda Viking, nel 1976, inviò le prime foto da Marte, Italo Calvino lo definì sul Corriere della sera “un deserto in più”). Inoltre Marte è molto lontano: per un viaggio con gli attuali mezzi di trasporto ci vorrebbero dai sei ai nove mesi, che potrebbero essere ridotti, secondo alcuni studiosi, a 45 giorni tramite l’utilizzo di motori a fissione nucleare (che comunque ancora non sono disponibili).

Musk non è però l’unico interessato al pianeta. Nonostante i governi siano molto cauti sul lato “umanità multiplanetaria”, ci sono stati invii di sonde e rover per analizzare la vita su Marte. Tra le sonde segnaliamo, nel 2021, il lancio di Hope, inviata degli Emirati Arabi Uniti per comprendere a fondo le dinamiche atmosferiche di Marte (e parte del piano saudita per diversificare l’economia dal petrolio). Poco tempo dopo è partita la missione cinese Tianwen 1, atterrata su Marte con un rover, e sempre nel 2021 un altro rover, Perseverance (della Nasa), è arrivato sul pianeta rosso.

Una nuova frontiera del turismo

C’è poi chi nello spazio ci va per divertirsi. Il turismo spaziale è considerato la prossima frontiera di lusso del settore, con biglietti che partono da 250mila dollari e liste d’attesa lunghe anni. Pioniera del settore è la Virgin Galactic, compagnia creata dal magnate Richard Branson (proprietario della società Virgin), fondata nel lontano 2004 per realizzare un’offerta di voli spaziali suborbitali per il mercato commerciale. Hanno seguito poi il trend Space X e Blue Origin.

Proprio quest’estate sei turisti spaziali hanno effettuato un volo per una manciata di minuti al confine tra atmosfera e spazio, sperimentando la microgravità. La missione, denominata NS-26, rappresenta il 26esimo volo del programma New Shepard della compagnia di Bezos.

“I protagonisti di questa nuova avventura commerciale sono stati quattro uomini e due donne”, si legge sull’Ansa. La filantropa e imprenditrice Nicolina Elrick, il biologo e professore universitario Rob Ferl, l’imprenditore ucraino Eugene Grin, il cardiologo Eiman Jahangir, la studentessa di astronomia Karsen Kitchen e l’imprenditore israelo-americano Ephraim Rabin.

“Durante il volo, Karsen è diventata la donna più giovane ad aver mai attraversato la linea di Karman (che segna convenzionalmente il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno, ndr). Ferl invece è diventato il primo ricercatore finanziato dalla Nasa a condurre un esperimento come parte dell’equipaggio di un volo suborbitale commerciale”. In particolare, l’esperimento di Ferl ha aiutato a comprendere “come i geni delle piante reagiscono alla transizione da e verso la microgravità”.

Ovviamente Musk ha risposto, segnando un altro record, a nome Space X. Alcuni turisti spaziali, a bordo della capsula Crew Dragon, sono riusciti a portare a termine a settembre un’audace impresa, diventando i primi civili ​​a compiere una passeggiata nello spazio. Mentre orbitavano attorno alla Terra a 738 chilometri di altitudine (circa il doppio di quella della Stazione Spaziale Internazionale), il miliardario e comandante della missione Jared Isaacman e la sua compagna di equipaggio Sarah Gillis sono usciti con cautela dalla Crew Dragon di SpaceX per dare un’occhiata alla Terra, da lassù. E il filmato, c’è da dirlo, è spettacolare.

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