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Gli Usa finalizzano i nuovi dazi sul fotovoltaico cinese low cost

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Lo comunica il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, in rimando ad imprese in Cambogia, Malesia, Thailandia e Vietnam. Tutte accusate di rappresentare la “via d’uscita” più agevole del fotovoltaico Made in China. L’intento degli Usa è tutelare le aziende nazionali, realizzare catene di approvvigionamento sicure, agevolare l’innovazione tecnologica per aumentare i livelli di competitività, preservare la proprietà intellettuale.

Nuove misure contro il fotovoltaico che arriva dall’Oriente

Fotovoltaico cinese low cost. Semaforo rosso dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, che ha comunicato nuovi dazi compensativi anti-sovvenzioni sulle celle solari importate da aziende dell’Asia, con riferimento a Cambogia, Malesia, Thailandia e Vietnam. Quattro paesi che “condividono” l’accusa di essere una “via d’uscita” del fotovoltaico cinese low cost.

L’indagine, avviata la scorsa primavera dietro richiesta della l’American Alliance for Solar Manufacturing Trade Committee, è salpata da un assunto semplice ma non banale. Ovvero, i prezzi troppo bassi a cui vengono vendute le celle solari importate dall’Asia e sulle quali le aziende statunitensi non possono competere.

È bene ricordare, infatti, che in materia la Cina detiene quasi il monopolio, possedendo allo stato attuale oltre l’80% del mercato mondiale. Fermo restando i tentativi di potenze come l’Ue e gli stessi Usa di incrementare la fabbricazione interna di moduli, celle e wafer di silicio, Pechino continuerà a detenere la percentuale sopracitata delle catene di fornitura per altri due anni.

Una linea di confine, quella fissata al 2026, che viene descritta nel report di Wood Mackenzie, rilasciato il 13 novembre 2023, dal titolo “How will China’s expansion affect global solar module supply chains?.

Il fotovoltaico cinese low cost danneggia gli Stati Uniti

L’accusa presentata a più riprese dall’industria fotovoltaica a stelle e strisce è cristallina: il fotovoltaico Made in China sta danneggiando il mercato degli Usa con uno smisurato sottocosto, reso attuabile da pratiche commerciale (ritenute sleali) che viaggiano su un doppio binario.

Il riferimento è al dumping diretto – modalità che il Parlamento europeo definisce “una forma di concorrenza sleale poiché i prodotti vengono venduti ad un prezzo che non rispecchia in modo accurato il costo di produzione”. Così “per le imprese europee è molto difficile rimanere competitive a queste condizioni” – e ai sussidi governativi alla produzione industriale.

Dunque, gli USA ampliano i dazi commerciali sulle importazioni cinesi. Ma non è una novità assoluta. Lo scorso settembre, infatti, il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (United States Trade Representative), infatti, aveva già adottato delle proposte di modifica dell’impianto tariffario sulle importazioni di tecnologie elettroniche, green e legate all’ambiente. Dazi commerciali previsti dalla sezione 301 del Trade Act del 1971 specificatamente dedicato alle pratiche commerciali sleali da paesi stranieri (nel caso specifico, da Pechino).

Facendo un ulteriore passo indietro (siamo a maggio 2024), il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si era già detto pronto ad imporre nuovi dazi su una serie di prodotti cinesi considerati strategici, come veicoli elettrici, batterie e altre componenti, pannelli solari e semiconduttori.

La posizione dell’Europa sulle celle solari importate dall’Asia

Il 3 aprile Commissione europea ha reso noto l’avvio di due indagini, su altrettante imprese cinesi produttrici di dispositivi fotovoltaici (considerati “strategicamente rilevanti per l’Europa”, come ha spiegato il commissario per il mercato interno e i servizi, Thierry Breton). Entrambe sospettate di aver ricevuto finanziamenti statali dall’estero.

Premesso che le celle solari svolgeranno un ruolo decisivo nella decarbonizzazione del sistema elettrico europeo al 2030, le criticità albergano tutte in un dato: nel 2023 oltre il 97% dei pannelli solari installati nell’Ue erano stati importati dalla Cina. C’è di più. Per tenere il passo in materia di rivoluzione industriale della sostenibilità, ad aprile il Parlamento europeo ha approvato il Regolamento sull’industria a zero emissioni nette (o Net Zero Industry Act).

Un’iniziativa, derivante dal piano industriale del Green Deal, messa in campo affinché “la capacità di produzione strategica globale delle tecnologie a zero emissioni nette dell’Unione si avvicini alla capacità di produzione o raggiunga almeno il 40% del fabbisogno annuale di diffusione entro il 2030”.

Nel frattempo, il comparto fotovoltaico del Vecchio Continente arranca sempre di più. Secondo quanto afferma Johan Lindahl, segretario generale dell’European Solar Manufacturing Council, l’associazione di rappresentanza del settore, “se la politica ino intraprende azioni immediate per salvaguardare i produttori di moduli fotovoltaici nell’Ue, la delocalizzazione all’estero o il fallimento saranno le uniche opzioni“.

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