L’industria dell’alluminio sta facendo passi da gigante nell’implementazione dei processi di decarbonizzazione. Tuttavia esistono diverse strade percorribili verso il net zero, con vari livelli di spesa e differenti nomenclature adottabili. Secondo il World Economic Forum l’applicazione di una denominazione e di una metodologia di misurazione delle emissioni univoche, aiuterebbero gli investimenti in questo settore.
Da 1 miliardo a 50 tonnellate entro il 2030
Secondo, a livello globale, solo all’industria dell’acciaio, il comparto siderurgico dell’alluminio ad oggi contribuisce per circa il 2% delle emissioni di gas serra, per un totale di 1,1 miliardi di tonnellate di emissioni di CO²e (anidride carbonica equivalente) all’anno. Non c’è dunque da chiedersi perché sia urgente accelerare il processo di decarbonizzazione di questo settore, anche in funzione del fatto che dovrebbe crescere del 40% entro il 2030. Secondo la ASI (Aluminium Stewardship Initiative) in uno scenario di innalzamento delle temperature non superiore agli 1,5 gradi, il settore dell’alluminio deve ridurre le proprie emissioni di gas serra da oltre un miliardo di tonnellate di CO2e a circa 50 milioni di tonnellate entro il 2050, ovvero meno di un ventesimo delle emissioni attuali.
Tuttavia, attualmente solo il 10% degli investimenti è destinato a tecnologie innovative volte a produrre alluminio a basse emissioni. Perché?
Percorsi di decarbonizzazione e costi
Sicuramente i costi dei diversi percorsi di decarbonizzazione attuabili giocano un ruolo centrale nelle tempistiche. Al momento i processi industriali per la fusione dell’alluminio a più alto consumo energetico e, quindi, a maggiore impronta di carbonio sono:
- Elettrolisi ad alta intensità energetica
- Produzione di anodi di carbonio
- Il processo Bayer di raffinazione della bauxite in allumina
- L’estrazione stessa della bauxite.
È indubbio che la riduzione delle emissioni dirette derivanti da questi processi produttivi complessi richieda tecnologie innovative e investimenti sostanziali, sia in termini di tempo (test pilota), sia di denaro (grandi spese in conto capitale) che di risorse umane (sviluppo di nuove competenze). Inoltre, disponibilità ed intermittenza delle energie rinnovabili, pongono sfide significative ai produttori, soprattutto se si guarda alla competitività sul mercato. L’incentivo a intraprendere la strada della decarbonizzazione dovrebbe quindi derivare dalla capacità di miglioramento delle nuove tecnologie (peraltro protette quasi sempre dai diritti di proprietà intellettuale) e dalle quantità incrementali delle forniture di alluminio primario.
Il riciclo dell’alluminio
Il riciclo dell’alluminio è considerato una grande leva per la decarbonizzazione del settore. La produzione di alluminio riciclato, che utilizza il 95% di energia in meno rispetto alla produzione di alluminio primario, rende quest’ultimo estremamente più green.
Ovviamente, convertire 1,5 miliardi di tonnellate di alluminio in rottami nella sua formula riciclata richiede ulteriori investimenti, in particolare per i processi di raccolta, lo smistamento, la selezione e la segregazione dei rottami. Si parla però di un esborso di gran lunga inferiore a quello richiesto per la riduzione diretta delle emissioni. L’unica pecca è che questa modalità di decarbonizzazione è limitata dalla disponibilità di rottami.
Le tre sfide fondamentali
Per il World Economic Forum per una decarbonizzazione di successo, le tre sfide immediate che il settore deve affrontare sono legate all’adozione di definizioni chiare delle varianti green, alla metodologia finalizzata a ridurre impronta di carbonio e all’introduzione di un “premio verde” per l’implementazione della tecnologia di decarbonizzazione:
- Innanzitutto è necessario adottare una definizione chiara delle varianti decarbonizzate dell’alluminio. Il termine a basse emissioni di carbonio è attualmente assegnato all’alluminio primario prodotto con fonti energetiche rinnovabili e l’uso di tecnologie innovative, ma è utilizzato ugualmente (ed erroneamente) per l’alluminio secondario, per il quale la fonte, il tipo di rottame e la relativa impronta di carbonio associata non sono sempre noti.
- Una parte importante del progresso del settore in direzione green dipenderà dall’applicazione coerente della metodologia di misurazione dell’impronta di carbonio. Affinché i diversi prodotti di alluminio primario siano comparabili, risulta infatti fondamentale fare riferimento ad un solo metodo e a limiti di emissione unificati. Attualmente la metodologia più in uso è quella “cradle-to-gate”, che comprende le emissioni dal processo di estrazione, alla fonderia.
- Si ritiene che gli obiettivi net zero, in tutti i settori, richiedano una spesa media annua di 9,2 trilioni di dollari entro il 2050. Gli investimenti in nuove tecnologie dovrebbero essere compensati, anche per i rischi di implementazione, con appositi “premi” o incentivi verdi. Questo servirebbe anche a distinguere ulteriormente le diverse “etichette” di alluminio verde.