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Decarbonizzare il settore dell’acciaio in Italia. L’intervista ad Andrea Mio (Università degli Studi di Trieste)

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Il Centro interdipartimentale “Giacomo Ciamician” su energia, ambiente e trasporti dell’Università degli Studi di Trieste ha pubblicato, in collaborazione con il WWF Italia, il report “Il settore dell’acciaio in Italia: criticità ed opportunità”. Tra rigore scientifico e visione climatica e ambientale, lo studio indaga le prospettive di sostenibilità del comparto siderurgico nazionale e sottolinea le sfide in atto (nonché i possibili scenari futuri).

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Studio UniTS e WWF Italia

Tre possibili scenari – conservativo, prospettico e auspicabile, ciascuno con differenti implicazioni ambientali, economiche e occupazionali – per decarbonizzare il settore dell’acciaio in Italia entro il 2050. A tratteggiarli è il WWF Italia in un nuovo studio, commissionato al Centro interdipartimentale “Giacomo Ciamician” su energia, ambiente e trasporti dell’Università degli Studi di Trieste. Per ogni scenario, il report “Il settore dell’acciaio in Italia: criticità ed opportunità” ha analizzato il mix di tecnologie utilizzabili, le riduzioni complessive di gas climalteranti, gli investimenti previsti e i livelli occupazionali generabili.

Esplorando le prospettive di sostenibilità del settore siderurgico del nostro paese e, in parallelo, sottolineando le sfide in corso e i possibili scenari futuri, il lavoro si rivolge soprattutto alle imprese e alle istituzioni che guidano la transizione verso gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 (anche in considerazione degli interessi della società civile organizzata e dei sindacati).

Tre scenari di decarbonizzazione

Conservativo, prospettico e auspicabile. Come abbiamo anticipato, sono i tre scenari delineati dallo studio; si tratta di prospettive che restituiscono un quadro esaustivo delle possibili evoluzioni, rimarcando i vantaggi di una transizione verso tecnologie a basso impatto ambientale.

Nel dettaglio, lo scenario definito “conservativo” è legato all’immobilismo e prevede azioni correttive piuttosto circoscritte, ancorate in particolare alla cattura e al riuso della CO₂ prodotta tramite tecnologie esistenti. La riduzione complessiva delle emissioni al 2050 sarà di -10,02 MtonCO₂ (-53,37% rispetto al 2022). Gli investimenti annuali saranno di 1,478 miliardi di euro, con un livello occupazione di 42.600 addetti nel settore siderurgico e circa 4.000 nel comparto delle rinnovabili.

Quindi il rapporto sviscera lo scenario prospettico, che introduce modifiche sostanziali come la tecnologia DRI (Direct Reduced Iron) basata sull’impiego del gas naturale (e possibilmente biometano), con cattura e conversione della CO₂. Prevede una riduzione delle emissioni del 67,85% entro il 2050, richiedendo investimenti annuali pari a 1,845 miliardi di euro e occupando 39.400 addetti nel settore siderurgico e circa 5.000 nel comparto rinnovabili.

Infine, lo scenario auspicabile utilizza la tecnologia DRI basata sull’idrogeno verde, sostituendo in toto i combustibili fossili con fonti rinnovabili. Tale scenario, con una riduzione delle emissioni del 67,84%, richiede 1,386 miliardi di euro annui in investimenti e impiega 39.400 addetti nel settore siderurgico e oltre 12.000 nel comparto delle energie rinnovabili.

Ridurre le emissioni di CO₂

Dunque, i tre scenari tracciati dallo studio “prevedono l’implementazione di diverse tecnologie di decarbonizzazione a seconda delle azioni intraprese dai principali stakeholder coinvolti nel settore siderurgico, ovvero le aziende, le ONG, le organizzazioni sindacali e le istituzioni governative”, puntualizza a Energia Italia News Andrea Mio, docente presso il Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università degli Studi di Trieste e coordinatore scientifico dello studio.

Che aggiunge: “Per ogni scenario sono state condotte valutazioni non solo di carattere ambientale – come le emissioni di CO₂ per ogni scenario – ma anche economiche, legate agli investimenti necessari all’implementazione delle nuove tecnologie e al costo livellato dell’acciaio, e sociali, considerando le ripercussioni degli scenari dal punto di vista occupazionale”.

Pertanto, conclude Mio – con lui, nel il gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Trieste ci sono Romeo Danielis del Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche “Bruno de Finetti” e Giovanni Carrosio del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – “il confronto finale fra gli scenari evidenzia come sia necessaria un’azione congiunta di ogni forza in gioco. Così da raggiungere un’effettiva decarbonizzazione sul lungo periodo, riconducibile in primis allo scenario auspicabile”.

Elementi innovativi dello studio

Parole, quelle di Mio, a cui fanno eco le dichiarazioni di Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia di WWF Italia, che ha supervisionato il progetto (garantendo che le raccomandazioni fossero allineate con le migliori pratiche ambientali). “È tutt’altro che semplice decarbonizzare i settori hard-to-abate”. Pertanto, prosegue, “la sfida risiede nella capacità di governo e industria di gestire la complessità“. E ancora, “come orizzonte temporale – illustra Midullalo studio considera azioni di mitigazione delle emissioni dei gas serra sul breve e sul medio-lungo periodo.

Nello specifico, “le azioni a breve termine prevedono l’integrazione di soluzioni innovative anche all’interno di impianti preesistenti, con l’obiettivo di circoscrivere l’entità degli investimenti richiesti aspettando il consolidamento delle tecnologie più innovative. Queste ultime dovranno essere implementate nel medio-lungo periodo, per decarbonizzare completamente il settore entro il 2050”.

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