Il Consiglio di Stato ha deciso di rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la decisione inerente i dubbi sollevati circa il meccanismo incentivante italiano (gestito dal GSE) per gli impianti di energia rinnovabile. La contestazione è partita da una società italiana titolare di un impianto fotovoltaico di nuova costruzione, che ha messo in discussione il principio dell'”incentivo negativo”, definendolo discriminatorio e antieuropeo.
Il contesto
Tutto è iniziato quando la società appellante, titolare di un impianto fotovoltaico con potenza di 999,78 kW, di nuova costruzione ed entrato in esercizio il 25 marzo 2022, ha contestato la validità del meccanismo dell’ “incentivo negativo”, affermando che non garantisca un’equa remunerazione dei costi d’investimento, violando i principi europei di concorrenza. Come? Discriminando le imprese che hanno accesso agli incentivi. Ma entriamo nel merito.
La differenza tra incentivo positivo e incentivo negativo
Il Decreto Ministeriale 4.7.2019 denominato “Incentivazione dell’energia elettrica prodotta dagli impianti eolici on shore, solari fotovoltaici, idroelettrici e a gas residuati dei processi di depurazione” stabilisce le tariffe incentivanti per gli impianti di energia rinnovabile, basate sulla differenza tra la tariffa spettante e il prezzo zonale orario dell’energia elettrica. In particolare, l ‘art. 7, comma 7, della suddetta misura, dispone che per gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, ove tale differenza sia positiva, il GSE eroga gli importi dovuti in riferimento alla produzione netta immessa in rete. Invece, nel caso in cui la predetta differenza risulti negativa, il Gestore dei Servizi Energetici conguaglia o provvede a richiedere al soggetto responsabile la restituzione o corresponsione dei relativi importi. Per cui l’impresa non solo non percepisce alcuna sovvenzione, ma dovrà versare la differenza al GSE.In tutti i casi, l’energia prodotta da questi impianti resta nella disponibilità del produttore.Per comprendere ulteriormente il contesto in cui la previsione si inserisce, occorre ricordare che l’accesso agli incentivi viene valutato sulla base delle caratteristiche dell’impianto relative a potenza e tipologia. Per ciascun operatore viene quindi determinata la tariffa spettante, calcolata tenendo conto, da un lato, delle tariffe di riferimento previste per ciascuna tipologia d’impianto e d’intervento e, dall’altro, delle riduzioni offerte al ribasso dall’operatore nell’ambito delle procedure di asta o registro, nonché delle ulteriori decurtazioni previste dal decreto.
Il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive
Il dubbio sulla compatibilità tra il diritto nazionale e le direttive discende da tre considerazioni.
1.In primo luogo, che, alla luce del diritto dell’Unione, il meccanismo incentivante dovrebbe agevolare la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili, favorendo l’investimento nella realizzazione di nuovi impianti o nel potenziamento di quelli esistenti, mediante un contributo pubblico a sostegno dei relativi costi. Contrariamente a questo principio, invece, il cosiddetto incentivo negativo comporta che, nel caso in cui il prezzo zonale orario dell’energia aumenti, le imprese, pur avendo effettuato degli investimenti, non ottengono alcuna sovvenzione che ne riduca il costo, anzi. Nel caso specifico sono le imprese a riversare al GSE parte degli introiti derivati dalla vendita sul mercato dell’energia prodotta, con conseguente perdita di interesse ad investire nel settore.
2.In seconda battuta, bisogna riconoscere che l’incentivo negativo non può essere considerato come una contropartita per la garanzia di una tariffa costante, poiché le imprese vendono l’energia sul mercato esponendosi a rischi. L’obbligo di versare la differenza tra il prezzo di mercato e la tariffa prevista potrebbe limitare la loro capacità di adattamento alle dinamiche del mercato (tutelata dalle Direttive europee).
3.La cosiddetta tariffa “a due vie” è l’unico meccanismo incentivante per gli impianti di potenza pari o superiore a 250 kW, mentre quelli con una potenza inferiore possono optare per un regime diverso. Questa disparità solleva dubbi sulla sua conformità al principio di non discriminazione imposto dalle direttive.