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Materie prime critiche, l’Ue guarda alla Scandinavia

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I ricchi giacimenti di rame, cobalto, neodimio, disprosio, della Norvegia, fanno gola all’Unione Europea che vede nella “miniera scandinava” una possibilità per ridurre la dipendenza dalla Cina. Nello specifico, la società di ricerca SINTEF si occuperà di coordinare i lavori di un progetto europeo di estrazione sulla terra ferma, mentre si discute animatamente sulla perforazione dei fondali marini annunciata dall’opposizione al Governo.

Terre rare per contrastare la dipendenza dalla Cina

L’industria mineraria europea ora guarda alla Norvegia. I ricchi giacimenti del Paese scandinavo fanno, infatti, gola all’Unione, che punta a creare una catena del valore interna delle terre rare, che contempli tutte le fasi operative, dall’estrazione alla lavorazione. Si tratta di una vera e propria miniera “di metalli” che consentirebbe all’Europa di ridurre la dipendenza dalla Cina, e dunque allentare la pressione che quest’ultima è in grado di esercitare sui governi occidentali.

Il giacimento di Fen Field

Gli elementi delle terre rare (REE), in totale 17, hanno molteplici proprietà. Sono definiti dall’UE “materie prime critiche” e vengono impiegati per lo sviluppo di una serie di tecnologie, cruciali per la transizione verde. Nello specifico, i minerali che si prevede di estrarre dal giacimento Fen Field, nel comune norvegese di Telemark, avranno un ruolo importante da svolgere in Europa. L’obiettivo dell’Ue è, infatti, utilizzare questi metalli nella produzione di magneti, fondamentali per l’industria. In particolare, gli elementi neodimio, cobalto, rame, praseodimio e disprosio sono essenziali per la produzione di motori per i veicoli elettrici più compatti ed efficienti dal punto di vista energetico, delle turbine eoliche, telefoni cellulari, batterie, cavi elettrici, per una varietà di tecnologie mediche e molte altre applicazioni. A coordinare il lavoro sarà l’organizzazione di ricerca norvegese SINTEF.  

Estrarre minerali dai fondali

Ma la maggior parte delle materie prime critiche della Norvegia giace nei fondali. Il Paese, che di recente ha comunicato la decisione di iniziare ad estrarre a largo delle proprie coste, vanta la presenza di ricchi depositi sottomarini di rame, cobalto ed altre terre rare. 

L’area selezionata per l’esplorazione si estende su una superficie di circa 280.000 km2, ubicata tra il mare di Barents e il mare di Groenlandia, su cui Oslo ritiene di avere i diritti esclusivi di sfruttamento. Tuttavia questa interpretazione viene respinta dal Regno Unito e dalla Russia.

Riconvertire il know-how dell’industria degli idrocarburi

Essendo tuttora il più grande paese produttore di petrolio dell’Europa occidentale, la Norvegia ha enormi potenzialità in materia di estrazione. Il piano di perforazione mineraria, non a caso, ha ricevuto il pieno sostegno dell’industria dei combustibili fossili, intenzionata a riconvertire il proprio know-how (macchinari di perforazione, infrastrutture offshore) continuando a trarre profitto, ma nella giusta direzione. 

L’impatto ambientale

Sebbene la proposta di sfruttamento dei fondali artici sia stata presentata dal Governo come un’iniziativa “responsabile e sostenibile” sia dal punto di vista ambientale che geopolitico, ha scatenato non poche reazioni tra gli ambientalisti. Il timore risiede, infatti, nello stravolgimento che l’attività di estrazione potrebbe apportare nell’ecosistema sommerso. Tra le grandi società internazionali che con il WWF hanno osteggiato il deep-sea mining, ci sono anche Google, Samsung, BMW e Volvo.

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