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Batterie giapponesi senza cobalto: più facili da lavorare e dalla maggiore durata

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Un team di ricercatori della University of Tokyo ha ideato delle batterie prive di cobalto, ma costituite da litio, nichel, manganese, silicio e ossigeno.

Il cobalto

ll cobalto è un minerale molto utilizzato per realizzare gli elettrodi delle batterie per EV, nonostante non sia così semplice reperirlo.

Come metallo infatti, riesce a garantire alle pile un’elevata densità energetica, oltre che una certa stabilità e affidabilità, caratteristiche non scontate in questo settore. 

Essendo però un elemento così raro da trovare, dal momento che al mondo ne esiste solo una fonte conosciuta nella Repubblica Democratica del Congo, la sua preziosità potrebbe rivelarsi un problema, considerando l’enorme sviluppo odierno dei veicoli elettrici.

L’importanza del minerale per la e-mobility è legata soprattutto al catodo delle pile al litio, che svolge un ruolo critico nel processo di immagazzinamento e rilascio dell’energia. 

Allo stesso tempo però, ci sono altre preoccupazioni dovute non solo alla sua scarsa disponibilità, ma anche ai costi e all’impatto ambientale.

Delle batterie più economiche e sostenibili

Come ovviare a tali problematiche? Come ottenere delle batterie più economiche e sostenibili? Un team di ricercatori della University of Tokyo ha sperimentato delle tecnologie costituite in modo differente, e con una densità superiore del 60% rispetto alla media. 

Gli ingegneri hanno combinato diverse sostanze, quali litio, nichel, manganese, silicio e ossigeno, ottenendo alla fine dei dispositivi efficienti e dalla maggiore durata. 

Tempi di ricarica molto più veloci

Questi nuovi sistemi giapponesi hanno anche dimostrato di avere dei tempi di ricarica molto più veloci, essendo in grado di resistere a oltre 1.000 cicli e perdendo solo circa il 20% della propria capacità di accumulo.

Gli studi del team sono ancora agli esordi, e c’è davvero tanto lavoro da fare per capire la reale convenienza di queste batterie e la loro efficienza sul campo.

Si dovrebbe soprattutto lavorare sulla loro sicurezza e longevità, nonostante, su quest’ultimo punto, i ricercatori credono di essere già sulla buona strada.

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