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Uranio, il golpe in Niger destabilizzerà il nucleare francese? E chi favorirà invece?

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Nella notte tra martedì e mercoledì il Presidente del Niger, Mohamed Bazoum, è stato deposto da alcuni reparti della guardia presidenziale. Il Consiglio nazionale per la difesa della patria ha assunto il comando del Paese, che ora rischia di sprofondare nel caos, alimentato da fortissimi interessi esteri che mirano alle ricchezze del sottosuolo, in particolare l’uranio. Parigi rimarrà a guardare?

Nuovo colpo di Stato in Niger, il quinto regno dell’Uranio al mondo

Dopo cinquant’anni di sfruttamento, non abbiamo ancora capito se l’uranio sia una benedizione o una maledizione per il Niger”. Il pensiero è stato espresso qualche anno fa da Almoustapha Alhacen, presidente di Aghir In’man, associazione locale che dal 2001 si batte per la trasparenza e un’equa ridistribuzione dei proventi dell’industria estrattiva nel paese.

In realtà, però, non è altro che una domanda retorica, perché poi Alhacen ha aggiunto: “Sono convinto che possedere tale ricchezza nel sottosuolo sia la nostra più grande disgrazia”.

Il Niger è da decenni uno dei maggiori produttori di uranio al mondo: nel 2019 ha raggiunto un’estrazione di quasi 3.000 tonnellate (per una quota di mercato globale del 5,5%). Attualmente occupa il quinto posto secondo stime della World Nuclear Association, dopo Kazakistan, Canada, Australia e Namibia.

Questa produzione di uranio così rilevante su scala mondiale non poteva non avere un fortissimo impatto sulla vita economica, sociale e politica del Paese africano.

Da venti anni l’uranio influenza profondamente la vita politica, economica e sociale del Paese

Nei primi anni 2000 il ritorno di interesse verso il nucleare ha alimentato la destabilizzazione del Niger, favorendo l’ennesimo golpe che ha destituito il presidente in carica Mamadou Tandja, portando al potere Mahamdou Issoufou nel 2011.

Issoufou ha legato profondamente con l’elite francese locale e le compagnie estrattive spalleggiate da Parigi. Il Niger fornisce il 30% circa dell’uranio necessario alle centrali nucleari francesi, tramite due siti di particolare rilevanza mineraria.

Il primo, nelle vicinanze della città di Arlit, è gestito dalla SOMAIR (Societé minière de l’Aïr, controllata al 63.6% da Areva e al 36.4% dall’Ufficio nazionale delle risorse minerarie del Niger, l’ONAREM, attraverso la SOPAMIN, compagnia mineraria nazionale) e il secondo, nelle vicinanze della città di Akokan, gestito da COMINAK (Compagnie Minière d’Akouta posseduta per il 34% da Areva, il 31% dal Niger, il 25% dalla giapponese Overseas Uranium Resources Development Co. e il 10% dalla spagnola Enusa SA).

Per questo Paese a quanto sembra, non è pensabile un periodo di pace e prosperità, soprattutto pensando a quante risorse nasconde nel suo sottosuolo (litio, rame e anche petrolio, gas e carbone) e che troppa gola fanno alle potenze di mezzo mondo, in particolare la Francia (ma anche Cina e Russia).

Niger tra uranio e neocolonialismo

Stamattina, infatti, il generale Abdourahmane Tchiani, capo della Guardia presidenziale del Niger, si è autoproclamato nuovo Presidente, dopo il golpe con cui mercoledì era stato deposto il presidente in carica Mohamed Bazoum, democraticamente eletto due anni fa.

Poco più di un mese fa, in un video commento, Roberta Caselli di Research Associate di Global X, affermava: “In un contesto di grande volatilità, l’oro ha toccato i massimi storici e le banche centrali continuano ad accumularne a ritmo sostenuto. Alla luce della fine dei rialzi dei tassi, poi, potrebbe essere ancora favorito. Buone prospettive anche per l’uranio che, grazie al rinnovato interesse per l’energia nucleare, è in un trend positivo che potrebbe continuare per molti anni”.

Non stupisce quindi che questa materia prima così centrale per il rilancio del nucleare sia di massimo interesse anche per altre potenze, oltre la Francia, che al momento rischia di essere allontanata dal Niger.

Tra le prime richieste dei golpisti, non a caso, c’è il ritiro immediato dei 1.500 soldati francesi ancora presenti in Niger.

Prova ne sono il sito di Azelik, dato in concessione nel 2007 alla joint venture SOMINA, società a maggioranza cinese (con un 33% destinato al governo nigerino e una parte più esigua alla Corea), ma anche le bandiere della Russia che da ieri sono sventolate da centinaia di manifestanti nelle strade della cittadina di Dosso e qualcuna anche nella Capitale Niamey.

La domanda ora è cosa farà Parigi, rimarrà a guardare o interverrà? Come reagiranno i filorussi (e magari anche la Wagner) e i gruppi jihadisti che infestano la regione? Gli Stati Uniti interverranno in qualche modo? L’Unione europea starà alla finestra? Pechino trasformerà il suo consueto silenzio in affari d’uranio?

Giornalista

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