ENI, il colosso energetico degli idrocarburi, è stato citato in causa da Greenpeace e ReCommon per aver violato, con la propria condotta, diritti umani ed ambientali, allontanando l’Italia dagli Accordi di Parigi e dagli impegni internazionali sulla lotta al cambiamento climatico. Al centro dell’accusa, gli extra profitti record della Società reinvestiti nel business dei combustibili fossili e l’accondiscendenza di Ministero delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, suoi influenti investitori.
ENI citata in giudizio per l’impatto delle sue attività sul cambiamento climatico
Il cane a sei zampe dovrà rispondere all’atto d’accusa lanciato da Greenpeace Italia, ReCommon (associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori), e alcuni cittadini delle aree più colpite dal cambiamento climatico, per aver contribuito consapevolmente con la propria condotta, all’aggravamento della situazione ambientale e climatica del pianeta. La campagna che promuove l’iniziativa legale contro il colosso energetico, con claim #LaGiustaCausa, è la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia e si inserisce nel novero delle cosiddette climate litigation, azioni di contenzioso climatico il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, portando il totale di cause a oltre duemila.
Le vittime dei disastri ambientali chiedono l’accertamento del danno
Un atto di citazione rivolto all’Ente Nazionale Idrocarburi, ma anche a MEF e CDP, principali azionisti della società petrolifera, che incolpa le suddette realtà di aver arrecato danni alla salute e violato i diritti umani di chi vive in zone soggette all’erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, alla siccità, e allo scioglimento dei ghiacciai. Le due organizzazioni e i cittadini coinvolti nella causa, chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento delle violazioni subite, passate e future, in sede patrimoniale e non.
Richiesta di adozione di una politica climatica in linea con gli Accordi di Parigi
Tra le rimostranze messe nero su bianco dalla “parte lesa”, il mancato adeguamento della Società e dei sui influenti azionisti, agli Accordi di Parigi, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sul clima. Gli attori che hanno intentato la causa esigono, infatti, che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Centigradi.
Strategia di decarbonizzazione inidonea
Greenpeace e Recommon denunciano l’attuale strategia di decarbonizzazione di ENI, palesemente in violazione degli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società. Tra le altre cose, viene ritenuto inaccettabile che, a fronte di extra profitti record realizzati nel 2022, ENI continui a investire nell’espansione del proprio business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale. La conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, renderebbe quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica.