I ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara hanno dimostrato che la lignina, materiale resistente e legnoso, può essere scomposta in un ambiente anaerobico per produrre biocarburanti. Si tratta però di un’innovazione non al 100% green.
La scoperta del team americano sulla produzione di biocarburanti dalla lignina
La lignina è quel materiale che conferisce a fusti, cortecce e rami degli alberi la legnosità, loro principale caratteristica. Si tratta di uno dei polimeri più abbondanti sulla Terra, che circonda preziose fibre vegetali e altre molecole che potrebbero essere convertite in biocarburanti, o altri prodotti chimici di base. Non è mai stato scoperto però in che modo provocare questa reazione.
La soluzione è stata trovata da un team americano specializzato in ingegneria chimica e biologica presso l’università UC Santa Barbara.
Come dei funghi possono abbattere le rigide pareti cellulari delle piante
I ricercatori hanno compiuto degli esperimenti e hanno visto che un gruppo di funghi anaerobi, chiamati Neocallimastigomiceti, è in grado di abbattere le rigide pareti delle piante per sfruttare le proprietà della lignina e produrre biocombustibili, utilizzando rifiuti vegetali che altrimenti verrebbero sprecati.
Tom Lankiewicz, autore principale dello studio, ha coltivato alcuni di questi in un ambiente privo di ossigeno, selezionando tre tipi di biomassa per i diversi modi in cui la lignina si presenta in natura, dagli steli e dalle foglie flessibili delle erbe al legno più rigido del pioppo.
Il team ha poi seguito i progressi dei funghi, scoprendo alcuni di essi erano in grado di distruggere le pareti cellulari delle piante permettendo di identificare la lignina anche in assenza di ossigeno.
La scarsa sostenibilità del processo e dei biocarburanti
I ricercatori non hanno ancora capito come avvenga nello specifico il processo, e scoprirlo rappresenta per loro la prossima sfida.
Si tratta sicuramente di uno studio che apre la strada ad un nuovo metodo per produrre biocarburantipartendo dalle biomasse scomposte, ottenendo così benzina e diesel senza il petrolio, dal quale deriva la maggior parte dell’inquinamento ambientale.
Il fatto però è che i biocombustibili non sono così sostenibili come si potrebbe immaginare, e il loro utilizzo finale comporta innumerevoli problemi. Per la produzione di quelli liquidi, in particolare, come bioetanolo e biodiesel, si usano colture dedicate (di barbabietola, colza, ecc), che entrano in competizione con la produzione di cibo, in un mondo dove ci sono già centinaia di milioni di persone che muoiono di fame.
Altro problema è che, per rappresentare una valida alternativa sostenibile, dovrebbero fornire un guadagno energetico e dei benefici dal punto di vista ambientale, ma così non è, infatti l’energia fossile necessaria per far crescere le colture e convertirle in biocombustibili è talvolta superiore a quella ottenuta dall’uso del biocombustibile stesso.
Dunque, anche se in teoria si dovrebbe trattare di prodotti CO2-neutri, perché l’anidride carbonica che viene generata è quella che viene assorbita dall’ambiente, dalle coltivazioni e dai rifiuti organici, in realtà viene immessa nell’aria tantissima energia non pulita, provocando un’elevata quantità di emissioni che il mondo di oggi non si può più permettere.
Per quanto questa scoperta possa dunque essere innovativa ed efficiente, non è al 100% sostenibile, nonostante Paesi come l’Italia ne difendano e ne vogliano preservare l’utilizzo.