In una lettera pubblica il ministro dell’Ambiente italiano racconta di come il nostro Paese abbia respinto i diktat di Bruxelles sui piani di ristrutturazione energetica obbligatori per i proprietari di immobili, quindi per le nostre case. Forse però non c’è stata nessuna battaglia e ce lo spiega il relatore della direttiva all’Europarlamento.
L’Italia reclama autonomia decisionale sulla direttiva Ue
Se non è scontro, poco ci manca. Il Governo di Roma è deciso a mettersi di traverso sulla questione spinosa delle ristrutturazioni e delle prestazioni energetiche del patrimonio immobiliare, case private comprese.
“Sarà il governo italiano e nessun altro a decidere tempi e modi per rendere sostenibile il patrimonio immobiliare del nostro Paese”, ha scritto in una lettera, pubblicata sul quotidiano “Sole 24 Ore”, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.
La direttiva europea per l’efficienza energetica nel settore dell’edilizia e delle costruzioni prevede azioni concrete in tal senso. Secondo quanto riportato su Key4biz, sono diverse le revisioni apportate al testo iniziale. Primo obiettivo: entro il 2030 tutte le case e gli appartamenti in Europa dovranno raggiungere la classe energetica E (consumi pari a 91-120 KWh al metro quadro).
Non solo, secondo l’Unione europea, entro il 2033 il livello di efficienza energetica dovrà salire alla classe D (consumi pari a 71-90 KWh al metro quadro), con un taglio sui consumi del 25% circa, mentre tra il 2040 ed il 2050 si dovrebbe tutti giungere ai tanto agognati edifici zero emissioni.
Nella lettera, il ministro ha ricordato che “gli Stati rimangono liberi di definire la traiettoria nazionale con cui conseguire un obiettivo comune” e che nella stesura della direttiva “nessun obbligo di ristrutturazione degli edifici esistenti è previsto al 2030, anno dal quale solo gli edifici residenziali di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero”, mentre per gli edifici residenziali “l’orizzonte è il 2050”.
Nessun obbligo e nessuna scadenza?
“Non sono previsti obblighi per i proprietari – ha aggiunto Pichetto Fratin – la realizzazione degli obiettivi di ristrutturazione è in capo agli Stati Membri. La proposta non prevede alcuna limitazione della possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati e gli Stati membri potranno stabilire criteri per esentare alcune categorie di edifici come gli immobili di valore architettonico o storico di cui l’Italia è il paese più ricco al mondo. Tra questi, gli edifici di proprietà delle Forze Armate o del governo centrale e destinati a scopi di difesa nazionale, edifici adibiti a luoghi di culto e allo svolgimento di attività religiose”.
A quanto pare il Governo di Roma ha di fatto sfidato l’Unione europea su un tema centrale per il percorso di decarbonizzazione nazionale e continentale, “il nostro Paese ha vinto una battaglia a Bruxelles facendo passare una soluzione di mediazione sugli standard minimi di prestazione che alcuni paesi volevano più stringenti. L’alternativa sarebbe stata rimanere sull’Aventino e subire decisioni altrui che ci avrebbero solo danneggiato”.
Partendo dalla peculiarità urbanistica ed edilizia del nostro Paese, il ministro ha precisato che “sarà cura del Governo indicare per gli edifici esistenti un percorso da qui ai prossimi 27 anni, i cui step saranno decisi a Roma e non a Bruxelles”.
Non si tratta di vittoria di Roma, l’UE ha previsto fin dall’inizio un elevato livello di flessibilità
Ma è vera vittoria sui diktat di Bruxelles? Soprattutto, c’è stata davvero una reazione determinata dal Governo di Roma? A guardare bene come sono andate le cose non sembrerebbe. La posizione italiana, infatti, sembra esser favorita proprio dalla direttiva stessa e da come è stata pensata e sviluppata.
Basta leggere le parole di Ciarán Cuffe, relatore nel Parlamento europeo della proposta di direttiva sull’efficienza energetica degli immobili, che in un’intervista al Sole 24 Ore ha chiarito: “Nella nostra proposta, vogliamo che gli edifici con le peggiori prestazioni (cioè appartenenti alle classi G, F ed E), pubblici e non residenziali, raggiungano la classe D entro il 2030. Gli edifici residenziali e di edilizia sociale hanno tempo fino al 2033 o più per raggiungere questo obiettivo. Sono previste deroghe specifiche in caso di circostanze nazionali giustificate, come ad esempio una temporanea carenza di lavoratori, o nel caso in cui gli Stati membri vogliano adeguare i requisiti di prestazione energetica per alcune parti del patrimonio edilizio”.
Cuffe ha poi aggiunto: “Ciascun paese sarà chiamato a mettere a punto il proprio piano nazionale di ristrutturazione degli immobili. In altre parole, l’intero processo sarà guidato dalle condizioni nazionali, e dipenderà dallo stock degli edifici, dalla disponibilità di materiali e di lavoratori. Vogliamo essere certi di non imporre richieste irrealistiche ai proprietari o agli occupanti”.